APPROFONDIMENTI

DANNO DA PERDITA DEL RAPPORTO PARENTALE ED ONERI DELLA PROVA

02/02/2018

di Avv. Stefano Ricciardi

Il danno non patrimoniale subito dai parenti per la perdita di un congiunto ai fini del suo accertamento e della conseguente liquidazione deve essere sempre specificamente dedotto ed adeguatamente provato. A tal proposito è sì possibile ricorrere a valutazioni prognostiche ed a ragionamenti presuntivi ma sulla base di fattori oggettivi forniti dai danneggiati in giudizio quali l’intensità del vincolo familiare, la convivenza, la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli reclamanti. Diversamente la liquidazione del danno da perdita parentale diverrebbe automatica ed in re ipsa e come tale inammissibile nel nostro ordinamento.

E’ quanto ribadito dalla Suprema Corte che, con ordinanza n. 907 del 17.01.2018, ha ricordato ancora una volta come, per l’accertamento del danno da perdita del rapporto parentale, i congiunti danneggiati debbano dedurre la sussistenza del pregiudizio lamentato, non potendosi limitare a mere enunciazioni generiche o alla sola vicinanza del vincolo parentale. Il danno da perdita parentale non può essere riconosciuto esistente per presunzioni (solo perché parenti stretti) ma va sempre dedotto ed allegato in giudizio atteso che la sussistenza di un danno non comporta in re ipsa il suo risarcimento ma questo passa dalla dimostrazione delle sue effettive conseguenze.

Nel caso di specie è stata cassato con rinvio la sentenza con cui la Corte d’Appello di Bari aveva riconosciuto una importante somma di denaro a favore dei reclamanti affermando che in caso di decesso di un congiunto legato da uno strettissimo legame parentale o di coniugio – es. genitore, fratelli, coniuge, figli – la sussistenza del danno sia riconoscibile per presunzioni in capo ai parenti stretti del defunto.

La Cassazione ha dapprima rammentato che “.. il danno non patrimoniale da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto consiste nella privazione di un valore non economico, ma personale, costituito della irreversibile perdita del godimento del congiunto, dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie modalità con le quali normalmente si esprimono nell'ambito del nucleo familiare; perdita, privazione e preclusione che costituiscono conseguenza della lesione dell'interesse protetto. Tanto precisato, hanno altresì ribadito che il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato, non potendo condividersi la tesi che trattasi di danno in re ipsa, sicché dovrà al riguardo farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva (Cass. Sez. U. 11/11/2008, n. 26972)”.

E ancora “..ai fini dell'accoglimento della domanda di risarcimento del danno subito a causa della uccisione di un prossimo congiunto non hanno rilievo le qualificazioni adoperate dagli interessati, ma è necessario che il pregiudizio venga compiutamente descritto e che ne vengano allegati e provati gli elementi costitutivi (Cass. Sez. 3 17/07/2012, n. 12236)”

 Sulla base degli enunciati principi la Suprema Corte ha statuito che “ ..la possibilità di provare per presunzioni non esonera chi lamenta un danno e ne chiede il risarcimento da darne concreta allegazione e prova. La Corte territoriale in sostanza ha erroneamente ritenuto che il danno fosse in re ipsa affermando in modo assertivo che dovesse spettare ai “parenti stretti” secondo il criterio presuntivo provvedendo – sulla base dei criteri tabellari in uso – a liquidare in maniera indiscriminata la medesima somma in favore degli otto fratelli (elevati a nove) così violando i principi in materia di presunzioni e valutazione equitativa del danno.”