APPROFONDIMENTI

NESSO DI CAUSA E RESPONSABILITA’ MEDICA

06/12/2017

di Avv. Stefano Ricciardi

Spetta al paziente la dimostrazione in giudizio della sussistenza del nesso di causa tra la condotta del medico ed il danno lamentato in giudizio. La responsabilità contrattuale dispensa il paziente dalla prova della colpevolezza del debitore ma non lo esonera dal dimostrare preventivamente il nesso eziologico tra quanto lamentato e le prestazioni assistenziali ricevute.

E’ quanto confermato in una recente pronuncia della Corte di Cassazione che, tornata a ricordare quali siano gli oneri probatori nell’ambito della responsabilità medica e la loro ripartizione tra le parti, ha chiarito che “l'art. 1218 c.c., solleva il creditore della obbligazione che si afferma non adempiuta dall'onere di provare la colpa del debitore inadempiente, ma non dall'onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore ed il danno di cui domanda il risarcimento”.

Ed infatti “nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere dell'attore, paziente danneggiato, dimostrare l'esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento; tale onere va assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", la causa del danno; se, al termine dell'istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno lamentato dal paziente rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata" (così, da ultimo, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18392 del 26/07/2017, Rv. 645164-01).” (Cass. Civ., Sez. III, 14 novembre 2017, sentenza n. 26825)

Tali principi sono oramai pienamente accolti e condivisi dai Giudici di merito.

Solo qualche giorno fa, in piena adesione alle citate statuizioni, il Tribunale di Roma ha ricordato come la dimostrazione dell’assenza di un inadempimento o la prova che, ove occorso, questo non sia causalmente riconducibile al danno lamentato dal paziente sia subordinato alla concreta e preventiva dimostrazione da parte del danneggiato stesso dei propri oneri probatori e quindi della verificazione di un danno e della connessione causale tra questo e la condotta dei sanitari.

Non a caso, ha chiarito il giudice capitolino, “ ..solo dopo aver riscontrato l’esistenza di un nesso eziologico deve essere affrontato il tema della esistenza di colpa e dell’onere della prova. E’ necessario preliminarmente, dunque, secondo i principi generali di cui all’art. 2697 cod. civ., che il paziente dimostri il nesso di causalità tra l’evento lesivo della sua salute e la condotta del medico, dovendosi dimostrare che il peggioramento delle condizioni di salute è connesso causalmente al comportamento del medico. Solo successivamente all’accertamento del nesso eziologico tra l’evento dannoso e la prestazione sanitaria, andrà valutato il profilo soggettivo della sussistenza di una condotta colposa o dolosa in capo al convenuto.

Resta inteso che qualora residuino all’esito dell’istruttoria delle incertezze sulla ricostruzione del nesso eziologico la domanda attorea va rigettata poichè “..andrà applicata la regola del riparto dell’onus probandi nel senso che, atteso che l’onere della prova della causalità incombe comunque sul danneggiato, sarà questi a dover fornire la dimostrazione dell’efficacia sull’eziologia reale della malattia o dell’evento pregiudizievole per la integrità psicofisica.” (Tribunale di Roma, Sez. XIII, 27 novembre 2017, sentenza n. 22130)