APPROFONDIMENTI

Il contratto di ormeggio

31/07/2014

di Avv. Giandomenico Boglione

Il contratto di ormeggio è il contratto con il quale un soggetto (associazione o società), concessionario di un'area demaniale e dello specchio d'acqua antistante, costituisce in favore di un altro soggetto (proprio associato o socio, oppure terzo), verso il pagamento di un corrispettivo, il diritto di stazionare con un'unità da diporto in una determinata porzione dello specchio acqueo (cd. posto barca), nonché quello di fruire delle strutture (banchine, centri di ristoro, spiaggia) e delle attrezzature (bitte, anelli, catenari) nonché, eventualmente verso il pagamento di un corrispettivo addizionale, quello di ricevere alcuni servizi strumentali riconnessi (assistenza all'ormeggio, al disormeggio e all'alaggio, trasporto di rifiuti, servizio meteorologico, fornitura di energia e di acqua, allacciamento telefonico) [1]. Si tratta evidentemente di un contratto legislativamente atipico, in quanto innominato, ancorché socialmente tipico per l'ampia diffusione acquisita nella pratica.
È stata, come spesso accade, per prima la Giurisprudenza ad affrontare i problemi implicati in detto contratto, segnando la traccia che poi la dottrina ha seguito ed utilizzato nei successivi contributi. Già nella prima e più risalente pronuncia riconducibile all'argomento (ancorché riferita a una nave mercantile in disarmo affidata ad un cantiere per l'ormeggio) il rapporto avente ad oggetto la nave è stato ricondotto al contratto di deposito, con la conseguente applicazione delle disposizioni relative a quest'ultimo, previdenti l'obbligo di custodia a carico del soggetto depositario [2]. Su tale impostazione si sono via via allineati i giudici di merito che, in ragione della sua atipicità, hanno ravvisato nel contratto d'ormeggio i molteplici e pregnanti accostamenti con il deposito, cui l'hanno assimilato, dando vita alla figura giurisprudenziale dell'ormeggio-deposito [3].
A tale traguardo interpretativo si è giunti prevalentemente dall'analisi delle previsioni contrattuali, esplicite o implicite, circa l'affidamento dell'unità da diporto alla custodia del gestore del porto o dell'approdo. Sul tema la Corte Suprema [4] ha confermato la natura del contratto di ormeggio quale figura non unitaria ma riconducibile di volta in volta alla locazione o al deposito a seconda dell'oggetto del contratto stesso nella fattispecie concreta.
La giurisprudenza più recente in tema di custodia di imbarcazioni da diporto, unitamente alla dottrina più accreditata [5], ravvisano nel contratto di "ormeggio" una figura del contratto atipico caratterizzato dalla struttura minima essenziale, consistente nella messa a disposizione ed utilizzazione delle strutture portuali con conseguente assegnazione di un delimitato e protetto spazio acqueo, il cui contenuto può tuttavia estendersi ad altre prestazioni quale la custodia del natante e la custodia delle cose in esso contenute. Accanto alla prestazione minima essenziale la più attenta dottrina, partendo dall'analisi dei testi contrattuali di ormeggio più diffusi e comunemente utilizzati, ha individuato alcune disposizioni che caratterizzano il rapporto con obbligazioni aventi natura di custodia del bene e che nel caso che ci occupa sono individuabili nelle seguenti prestazioni di servizi:
a) messa a disposizione delle strutture e attrezzature per i mezzi nautici (pontili, corpi morti, cime d'ormeggio) e per la manutenzione delle stesse e per l'accoglienza degli equipaggi;
b) esecuzione di servizi per la sicurezza dell'approdo e dei mezzi nautici, servizi di vigilanza e provvedimenti in caso di necessità;
c) la somministrazione di forniture (acqua, energia elettrica etc.) fatturabili a conguaglio in aggiunta alla quota giornaliera.
A seconda della natura del contratto di volta in volta stipulato, la natura dell'obbligazione trasla da mero deposito a dovere di custodia.

 

[1] Definizione di Alfredo ANTONINI. Precedenti studi dell'Autore sull'argomento: Il contratto di ormeggio in Trasp. 1989, 202; La gestione dei posti barca da parte delle associazioni sportive e di società commerciali in La navigazione da diporto. Altri Autori: CLARONI, Il contratto di ormeggio nella portualità turistica Bologna 2004; TOSARATTI Il contratto di ormeggio e la responsabilità del titolare del porto turistico per eventi esterni in Dir. Trasp. 2005; TOSARATTI Il contratto di ormeggio fra interessi privati e interessi pubblici 2006; TUO Il contratto di ormeggio al vaglio della Suprema Corte: considerazioni intorno alla struttura minima essenziale in Dir. Mar. 2006.

[2] Cass. 22 ottobre 1970 n. 2094, in Dir. Mar. 1971.

[3] C. App. Trieste del 27 maggio 1988 in Trasporti 48-49 1989 p. 202.

[4] Cass. 21 ottobre 1994 n. 8657.

[5] Per una rassegna dottrinale e giurisprudenziale in tema si legga Alfredo Antonini: "Il contratto d'ormeggio" pubblicato in Dir. Mar. 1999, 1067 e segg

Pubblicazioni

Solamente qualche giorno fa – ordinanza n. 26805 del 12.09.2022 - la Corte di Cassazione è intervenuta per fare ancora una volta chiarezza sulle differenze semantiche e ontologiche esistenti tra il danno biologico, il danno morale e la personalizzazione. Termini polisemici e di frequente mal interpretati.

Nel richiedere la liquidazione del danno non patrimoniale spesso le parti incorrono in confusione nel nominare in modo diverso concetti uguali o nel richiedere più volte uno stesso nocumento indicandolo sotto diverse nomenclature.

Il corretto inquadramento di queste componenti che appartengono ad un unico genus – cioè quello del danno non patrimoniale - è indispensabile al fine di applicare in modo appropriato i criteri per la loro liquidazione, anche in virtù delle modifiche di recente apportate dall’Osservatorio di Milano alle tabelle meneghine.

Una prima precisazione va fatta con riferimento al danno biologico che i più fanno coincidere con il danno alla salute.

In realtà, come ben chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 7513 del 2018, il danno alla salute non va considerato, e in questo senso è d’accordo anche la medicina legale italiana, come nocumento fisico in re ipsa ma piuttosto quale compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento di tutte le sue attività quotidiane.

Sotto tale profilo il Dott. Rossetti, relatore della citata pronuncia ricordava che “In questo senso si espresse già quasi vent'anni fa (ma inascoltata) la Società Italiana di Medicina Legale, la quale in esito al Congresso nazionale tenuto nel 2001 definì il danno biologico espresso nella percentuale di invalidità permanente, come "la menomazione (...) all'integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali (...), espressa in termini di percentuale della menomazione dell'integrità psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti".”

Pertanto per danno biologico è da intendersi il danno alla salute nei suoi riflessi dinamico relazionali. Prosegue la Cassazione “Non, dunque, che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno “dinamico relazionale”. Se non avesse conseguenzedinamico relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.”

Dunque l’incidenza di una menomazione permanente sulle quotidiane attività dinamico-relazionali della vittima non è un danno diverso dal danno biologico ma è proprio ciò che lo compone.

Nell’ambito della lesione della salute e dei suoi profili dinamico-relazionali vi possono essere conseguenze comuni a tutte i soggetti che hanno quel grado di invalidità e conseguenze peculiari che abbiano cioè reso il pregiudizio subito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi similari.

Mentre le prime vengono liquidate dietro mera dimostrazione del grado di invalidità, le seconde richiedono la prova concreta ed effettiva del maggior pregiudizio subito onde ottenerne il risarcimento mediante personalizzazione del danno. Ed infatti “In applicazione di tali princìpi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).”

Il danno morale, infine, è costituito invece dai[1] “..pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).”

Il danno morale è quindi una categoria autonoma[2] rispetto al danno biologico e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato e che costituiscono come detto l’essenza del danno biologico.

L’autonomia di questa categoria – e il suo non automatico riconoscimento – si è riverberata nella revisione delle Tabelle di Milano che nella loro versione del 2021 specificano e distinguono nella liquidazione del danno non patrimoniale la componente biologico/relazionale e quella morale.

Nella pronuncia di settimana scorsa la Corte di Cassazione ha quindi chiarito l’operazione che gli operatori del diritto si trovano a dover fare nel momento della liquidazione delle poste risarcitorie e cioè dividere il danno non patrimoniale nelle sue componenti dinamico/relazionale (id est il danno biologico, se del caso personalizzato) e quella morale. Ed infatti “il giudice di merito dovrà:

1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di un danno da sofferenza morale, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che preved(eva)ono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervenivano, per il danno biologico - prima dell'ultima, necessaria modificazione all'indicazione di un valore monetario automaticamente e complessivamente unitario (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);

3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico (espressamente ed esclusivamente definito dal legislatore, fin dall'anno 2000, come danno dinamico/relazionale), depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, e liquidando, conseguentemente il solo aspetto dinamico-relazionale del danno;

4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno secondo gli stringenti criteri indicati dalla sentenza 7513/2018, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale, automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.”

4.15   Di conseguenza la personalizzazione del danno:

- andrà riconosciuta solo dietro specifica e concreta dimostrazione “di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età.”[3]

- se dimostrata, andrà liquidata mediante aumento “fino al 30% del valore del solo danno biologico[4] e non prendendo a riferimento il danno non patrimoniale nella sua unitarietà. 

 

[1] Cass. Civ. sent. n. 7513 del 2018 

[2] Cass. Civ. ordinanza n. 15733 del 17.05.2022

[3] Civile Ord. Sez. 3 Num. 7513 Anno 2018

[4] Cass. civ. Sez. III, Ord., 12.09.2022, n. 26805


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