APPROFONDIMENTI

Ritrovamento di relitti in discariche abusive e responsabilità degli armatori

25/06/2020

di Avv. Simone Moretti

E' notizia di questi giorni il ritrovamento di alcuni relitti della mareggiata di Rapallo all'interno di discariche abusive, alcune nella zona di Massa Carrara. Secondo la Procura di Genova, il Porto Carlo Riva avrebbe affidato lo smaltimento delle unità da diporto ad una società infiltrata dalla malavita, che avrebbe violato la normativa in materia di smaltimento di rifiuti.

Gli armatori sono stati destinatari di comunicazioni da parte dei Comuni dove le unità sono state ritrovate, a mezzo delle quali gli enti locali hanno informato gli interessati dell'avvio di un procedimento volot all'emissione di ordinanze sindacali di sgombero e smaltimento dei rifiuti.

Quali sono le responsabilità degli armatori coinvolti e come si possono difendere?

Le unità da diporto sono state recuperate a cura del Porto Turistico Internazionale (Carlo Riva) di Rapallo, al quale è stato affidato anche il trasporto e lo smaltimento dei relitti in forza di un contratto di mandato, qualificabile in verità come vero e proprio contratto per lo smaltimento delle unità. Il Porto ha fatturato direttamente lo smaltimento agli armatori, senza che vi fosse alcun contatto diretto tra questi ultimi e la società che ha effettivamente realizzato il trasporto e lo "smaltimento" e senza alcuna distinzione delle spese in cui il mandatario sarebbe incorso.

Occorre premettere che le imbarcazioni da diporto non sono, di per sè, dei rifiuti: come chiarito dalla Cassazione Penale (Cass. Sez. III n. 34768 del 13 settembre 2007) l’attività di demolizione in senso stretto non può ricondursi ad una raccolta o smaltimento di rifiuti, attività queste successive che debbono essere realizzate da un soggetto autorizzato. Nella nozione di gestione di rifiuti non può pertanto rientrare l’attività di demolizione di una nave, così come non vi rientrano, di per sé, le attività di demolizione di un edificio o di strutture presso cantieri mobili e temporanei. Per tale ragione, la demolizione non deve essere necessariamente affidata ad un soggetto autorizzato allo smaltimento di rifiuti speciali, potendo lecitamente essere realizzata da un cantiere che affidi poi, successivamente, i rifiuti inerti e speciali ai soggetti autorizzati.

Pertanto, agli armatori non può essere ascritta alcuna colpa per aver affidato la demolizione delle unità da diporto al Porto Carlo Riva.

Le imbarcazioni rinvenute sono state tuttavia oggetto di parziale demolizione, e pertanto possono allo stato - successivamente alle attività di raccolta e parziale demolizione - essere qualificate come rifiuti. Ci si domanda, tuttavia, se in assenza di alcuna colpa gli armatori possano essere destinatari delle ordinanze di sgombero e smaltimento.

Il T.U. Ambiente all’art. 192 in caso di illecito smaltimento di rifiuti prevede una responsabilità dell'autore materiale dell'illecito, che concorre in via solidale con il titolare di diritti reali o personali di godimento sull'area interessata. La responsabilità del proprietario del fondo o del titolare di altro diritto reale o personale non è una responsabilità oggettiva, presupponendo il dolo o la colpa del coobbligato solidale e l'accertamento in contraddittorio con i soggetti interessati dei presupposti di questa forma di responsabilità.

La norma non prevede invece alcuna responsabilità diretta del proprietario dei rifiuti, che può pertanto essere coinvolto esclusivamente in caso di compartecipazione quale autore materiale dell’abbandono.

In assenza di alcuna responsabilità degli armatori nella raccolta e smaltimento dei relitti, pertanto, si ritiene che essi non possano essere legittimamente destinatari delle ordinanze ex art. 192 T.U. Ambiente da parte dei Comuni interessati, che potranno in caso contrario essere oggetto di ricorso davanti al TAR competente entro 60 giorni dalla loro emissione.

Avv. Simone Moretti

Pubblicazioni

Solamente qualche giorno fa – ordinanza n. 26805 del 12.09.2022 - la Corte di Cassazione è intervenuta per fare ancora una volta chiarezza sulle differenze semantiche e ontologiche esistenti tra il danno biologico, il danno morale e la personalizzazione. Termini polisemici e di frequente mal interpretati.

Nel richiedere la liquidazione del danno non patrimoniale spesso le parti incorrono in confusione nel nominare in modo diverso concetti uguali o nel richiedere più volte uno stesso nocumento indicandolo sotto diverse nomenclature.

Il corretto inquadramento di queste componenti che appartengono ad un unico genus – cioè quello del danno non patrimoniale - è indispensabile al fine di applicare in modo appropriato i criteri per la loro liquidazione, anche in virtù delle modifiche di recente apportate dall’Osservatorio di Milano alle tabelle meneghine.

Una prima precisazione va fatta con riferimento al danno biologico che i più fanno coincidere con il danno alla salute.

In realtà, come ben chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 7513 del 2018, il danno alla salute non va considerato, e in questo senso è d’accordo anche la medicina legale italiana, come nocumento fisico in re ipsa ma piuttosto quale compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento di tutte le sue attività quotidiane.

Sotto tale profilo il Dott. Rossetti, relatore della citata pronuncia ricordava che “In questo senso si espresse già quasi vent'anni fa (ma inascoltata) la Società Italiana di Medicina Legale, la quale in esito al Congresso nazionale tenuto nel 2001 definì il danno biologico espresso nella percentuale di invalidità permanente, come "la menomazione (...) all'integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali (...), espressa in termini di percentuale della menomazione dell'integrità psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti".”

Pertanto per danno biologico è da intendersi il danno alla salute nei suoi riflessi dinamico relazionali. Prosegue la Cassazione “Non, dunque, che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno “dinamico relazionale”. Se non avesse conseguenzedinamico relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.”

Dunque l’incidenza di una menomazione permanente sulle quotidiane attività dinamico-relazionali della vittima non è un danno diverso dal danno biologico ma è proprio ciò che lo compone.

Nell’ambito della lesione della salute e dei suoi profili dinamico-relazionali vi possono essere conseguenze comuni a tutte i soggetti che hanno quel grado di invalidità e conseguenze peculiari che abbiano cioè reso il pregiudizio subito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi similari.

Mentre le prime vengono liquidate dietro mera dimostrazione del grado di invalidità, le seconde richiedono la prova concreta ed effettiva del maggior pregiudizio subito onde ottenerne il risarcimento mediante personalizzazione del danno. Ed infatti “In applicazione di tali princìpi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).”

Il danno morale, infine, è costituito invece dai[1] “..pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).”

Il danno morale è quindi una categoria autonoma[2] rispetto al danno biologico e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato e che costituiscono come detto l’essenza del danno biologico.

L’autonomia di questa categoria – e il suo non automatico riconoscimento – si è riverberata nella revisione delle Tabelle di Milano che nella loro versione del 2021 specificano e distinguono nella liquidazione del danno non patrimoniale la componente biologico/relazionale e quella morale.

Nella pronuncia di settimana scorsa la Corte di Cassazione ha quindi chiarito l’operazione che gli operatori del diritto si trovano a dover fare nel momento della liquidazione delle poste risarcitorie e cioè dividere il danno non patrimoniale nelle sue componenti dinamico/relazionale (id est il danno biologico, se del caso personalizzato) e quella morale. Ed infatti “il giudice di merito dovrà:

1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di un danno da sofferenza morale, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che preved(eva)ono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervenivano, per il danno biologico - prima dell'ultima, necessaria modificazione all'indicazione di un valore monetario automaticamente e complessivamente unitario (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);

3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico (espressamente ed esclusivamente definito dal legislatore, fin dall'anno 2000, come danno dinamico/relazionale), depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, e liquidando, conseguentemente il solo aspetto dinamico-relazionale del danno;

4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno secondo gli stringenti criteri indicati dalla sentenza 7513/2018, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale, automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.”

4.15   Di conseguenza la personalizzazione del danno:

- andrà riconosciuta solo dietro specifica e concreta dimostrazione “di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età.”[3]

- se dimostrata, andrà liquidata mediante aumento “fino al 30% del valore del solo danno biologico[4] e non prendendo a riferimento il danno non patrimoniale nella sua unitarietà. 

 

[1] Cass. Civ. sent. n. 7513 del 2018 

[2] Cass. Civ. ordinanza n. 15733 del 17.05.2022

[3] Civile Ord. Sez. 3 Num. 7513 Anno 2018

[4] Cass. civ. Sez. III, Ord., 12.09.2022, n. 26805


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