APPROFONDIMENTI

Responsabilità dell’Hosting Provider e Catching

Uno sguardo alle Sentenze della Suprema Corte di Cassazione

18/04/2019

di Avv. Gianluca Marmorato

Con le recenti Sentenze gemelle 7708 e 7709 del 19 marzo 2019 la Suprema Corte ha approfondito la vexata questio del ruolo e responsabilità  dell’Hosting Provider e dell’attività di caching.

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La prima Statuizione trae origine dalla vertenza  giunta alla ribalta dei media inerente la diffusione sul portale video Yahoo di filmati tratti da programmi televisivi della società Reti Televisive Italiane e protetti da Copyright.

I Giudici di merito hanno verificato come i clienti della Società di Sunnyvale  avevano la possibilità di caricare autonomamente contenuti video sul portale suddetto, in modo da consentirne la visione gratuita da parte di altri utenti.

Discordanti sono state le decisioni di merito in punto: il Tribunale di Milano accertò infatti nel 2011 la responsabilità di Yahoo connessa alla diffusione sul proprio portale video di programmi televisivi prodotti da RTI, violandone il diritto d’autore.

La Corte d’Appello di Milano, con Sentenza del 2015 ha invece accolto il giudizio di gravame proposto da Yahoo, considerando quest’ultima quale “prestatore di servizi di ospitalità dei dati”, cosiddetto hosting provider.

In questo caso il ruolo del portale venne considerato un mero intermediario che “senza proporre servizi di elaborazione dei dati, offre ai propri clienti un mero servizio di accesso”.

In buona sostanza il centro della disamina posta in essere dai Giudici di Legittimità è stata la corretta interpretazione dei servizi messi a disposizione dei propri utenti da parte di Yahoo, con particolare attenzione alla differenza tra “hosting provider” (le cui attività e responsabilità sono ben delineate nelle norme di cui all’art. 14 Direttiva 2000/31/CE ed art 16 D.Lgs 70/2003) ed “hosting provider attivo” (sottratto al regime generale di esenzione di responsabilità di cui al  D. Lgs 70/2003).

La Suprema Corte ha nel caso qui cennato accolto i principi esposti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha individuato la nozione di “hosting provider attivo”, in riferimento a tutti quei casi che esulino da  un'"attività dei prestatori di servizi della società dell'informazione (che) sia di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, con la conseguenza che detti prestatori non conoscono né controllano le informazioni trasmesse o memorizzate dalle persone alle quali forniscono i loro servizi”.

Nella fattispecie, è stato infatti  individuato un ruolo attivo del prestatore di servizi, che non si è limitato ad una mera messa a disposizione di spazio web, ma ha offerto servizi aggiuntivi che denotavano la conoscenza (o conoscibilità dei contenuti video), con la conseguente facoltà di rimozione, modificazione, indicizzazione dei contenuti medesimi.

La Corte ha precisato inoltre che il prestatore attivo è responsabile con riguardo al contenuto delle informazioni e dati quando:

  • egli "sia effettivamente a conoscenza del fatto che l'attività o l'informazione è illecita" e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, "sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l'illiceità dell'attività o dell'informazione"
  • egli non "agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l'accesso" appena "a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti"

I Giudici Ermellini hanno ritenuto peraltro necessario rinviando la causa dinanzi alla Corte d’Appello di Milano per l’accertamento tecnico-informatico circa la concreta identificabilità, all’epoca dei fatti, da parte del prestatore della illiceità dei video caricati mediante la mera indicazione del nome dei programmi da cui sono tratti, ovvero se risultasse necessaria l’analisi degli specifici indirizzi “url”. 

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La Sentenza 7709/2019 si incentra invece sulla ulteriore attività di caching posta in essere dal servizio di ricerca  denominato Yahoo Search,  intesa quale attività di semplice “motore di ricerca”, consistente nel “cercare e organizzare in un elenco i siti pertinenti ai criteri di ricerca indicati dall’utente interrogante fornendo i link che consentono la connessione con ciascuno di essi”.

Al fine di offrire all’utenza il suddetto servizio, il motore di ricerca  “procede ad eseguire una copia di ogni sito che viene memorizzata temporaneamente in una cache, attività che consente di fornire per le chiavi di ricerca più frequentemente utilizzate i risultati della ricerca stessa in tempi estremamente rapidi”.

Tale “memorizzazione automatica, intermedia e temporanea” delle informazioni – eseguita “al solo scopo di rendere più efficace il successivo inoltro ai destinatari a loro richiesta” – caratterizza dunque ai sensi del D.Lgs. n. 70 del 2003, art. 15l’attività in questione (caching).

Va precisato però che la funzione indicata necessità una neutralità del prestatore, il quale non potrà modificare le informazioni, pur nella offerta del cosiddetto “embedding”, strumento che consente all’utente di visionare direttamente sul motore di ricerca Yahoo immagini presenti su siti di terzi, e del  suggest search, che offre suggerimenti per completare automaticamente le chiavi della ricerca sulla base delle combinazioni più utilizzate dal complesso degli utenti.

Tali ultimi due servizi sono stati giudicati compatibili con la prerogativa della neutralità, in quanto fondati sul carattere automatico e temporaneo della memorizzazione delle immagini presenti sui siti di terzi.

La Corte conclude con la considerazione circa l’esonero dalla responsabilità del prestatore (cacher) per il servizio denominato caching per i contenuti immessi da utenti terzi qualora:

  • non modifichi le informazioni, divenendo in tal caso concorrente attivo
  • si conformi alle condizioni di accesso alle informazioni, quindi ad esempio ometta di rendere disponibili al pubblico nella memoria cache delle informazioni che invece non sono tali nel sito di provenienza
  • si conformi alle norme di aggiornamento delle informazioni, secondo le regole del settore
  • non interferisca con l’uso lecito di tecnologia riconosciuta ed utilizzata nel settore per ottenere dati sull’impiego delle informazioni

agisca prontamente per rimuovere le informazioni che ha memorizzato, o per disabilitare l’accesso, non appena venga effettivamente a conoscenza del fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo dove si trovavano inizialmente sulla rete o che l’accesso alle informazioni è stato disabilitato oppure che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa ne ha disposto la rimozione o la disabilitazione

Pubblicazioni

Solamente qualche giorno fa – ordinanza n. 26805 del 12.09.2022 - la Corte di Cassazione è intervenuta per fare ancora una volta chiarezza sulle differenze semantiche e ontologiche esistenti tra il danno biologico, il danno morale e la personalizzazione. Termini polisemici e di frequente mal interpretati.

Nel richiedere la liquidazione del danno non patrimoniale spesso le parti incorrono in confusione nel nominare in modo diverso concetti uguali o nel richiedere più volte uno stesso nocumento indicandolo sotto diverse nomenclature.

Il corretto inquadramento di queste componenti che appartengono ad un unico genus – cioè quello del danno non patrimoniale - è indispensabile al fine di applicare in modo appropriato i criteri per la loro liquidazione, anche in virtù delle modifiche di recente apportate dall’Osservatorio di Milano alle tabelle meneghine.

Una prima precisazione va fatta con riferimento al danno biologico che i più fanno coincidere con il danno alla salute.

In realtà, come ben chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 7513 del 2018, il danno alla salute non va considerato, e in questo senso è d’accordo anche la medicina legale italiana, come nocumento fisico in re ipsa ma piuttosto quale compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento di tutte le sue attività quotidiane.

Sotto tale profilo il Dott. Rossetti, relatore della citata pronuncia ricordava che “In questo senso si espresse già quasi vent'anni fa (ma inascoltata) la Società Italiana di Medicina Legale, la quale in esito al Congresso nazionale tenuto nel 2001 definì il danno biologico espresso nella percentuale di invalidità permanente, come "la menomazione (...) all'integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali (...), espressa in termini di percentuale della menomazione dell'integrità psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti".”

Pertanto per danno biologico è da intendersi il danno alla salute nei suoi riflessi dinamico relazionali. Prosegue la Cassazione “Non, dunque, che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno “dinamico relazionale”. Se non avesse conseguenzedinamico relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.”

Dunque l’incidenza di una menomazione permanente sulle quotidiane attività dinamico-relazionali della vittima non è un danno diverso dal danno biologico ma è proprio ciò che lo compone.

Nell’ambito della lesione della salute e dei suoi profili dinamico-relazionali vi possono essere conseguenze comuni a tutte i soggetti che hanno quel grado di invalidità e conseguenze peculiari che abbiano cioè reso il pregiudizio subito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi similari.

Mentre le prime vengono liquidate dietro mera dimostrazione del grado di invalidità, le seconde richiedono la prova concreta ed effettiva del maggior pregiudizio subito onde ottenerne il risarcimento mediante personalizzazione del danno. Ed infatti “In applicazione di tali princìpi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).”

Il danno morale, infine, è costituito invece dai[1] “..pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).”

Il danno morale è quindi una categoria autonoma[2] rispetto al danno biologico e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato e che costituiscono come detto l’essenza del danno biologico.

L’autonomia di questa categoria – e il suo non automatico riconoscimento – si è riverberata nella revisione delle Tabelle di Milano che nella loro versione del 2021 specificano e distinguono nella liquidazione del danno non patrimoniale la componente biologico/relazionale e quella morale.

Nella pronuncia di settimana scorsa la Corte di Cassazione ha quindi chiarito l’operazione che gli operatori del diritto si trovano a dover fare nel momento della liquidazione delle poste risarcitorie e cioè dividere il danno non patrimoniale nelle sue componenti dinamico/relazionale (id est il danno biologico, se del caso personalizzato) e quella morale. Ed infatti “il giudice di merito dovrà:

1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di un danno da sofferenza morale, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che preved(eva)ono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervenivano, per il danno biologico - prima dell'ultima, necessaria modificazione all'indicazione di un valore monetario automaticamente e complessivamente unitario (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);

3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico (espressamente ed esclusivamente definito dal legislatore, fin dall'anno 2000, come danno dinamico/relazionale), depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, e liquidando, conseguentemente il solo aspetto dinamico-relazionale del danno;

4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno secondo gli stringenti criteri indicati dalla sentenza 7513/2018, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale, automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.”

4.15   Di conseguenza la personalizzazione del danno:

- andrà riconosciuta solo dietro specifica e concreta dimostrazione “di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età.”[3]

- se dimostrata, andrà liquidata mediante aumento “fino al 30% del valore del solo danno biologico[4] e non prendendo a riferimento il danno non patrimoniale nella sua unitarietà. 

 

[1] Cass. Civ. sent. n. 7513 del 2018 

[2] Cass. Civ. ordinanza n. 15733 del 17.05.2022

[3] Civile Ord. Sez. 3 Num. 7513 Anno 2018

[4] Cass. civ. Sez. III, Ord., 12.09.2022, n. 26805


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