APPROFONDIMENTI

Il caso dell’intermediazione dei diamanti IDB da parte di istituti bancari

16/07/2018

di Avv. Simone Moretti

Con provvedimento n. 26757 del 2017 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha accertato che la pratica commerciale posta in essere dalle società Intermarket Diamond Business – IDB S.p.A., IDB Intermediazioni S.r.l. e Banco BPM S.p.A. costituisce una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20 e 21 comma 1, lettere b), c), d) e f), 22, e 23, comma 1, lettera t), del Codice del Consumo, nonché violazione degli artt. 49, 50, 52 54 e 66-bis, e ne ha vietato l’ulteriore continuazione.

I profili di scorrettezza riscontrati riguardano le informazioni ingannevoli e omissive diffuse attraverso il sito e il materiale promozionale dalle stesse predisposto in merito:

a) al prezzo di vendita dei diamanti, presentato come quotazione di mercato, frutto di una rilevazione oggettiva pubblicata sui principali giornali economici;

b) all’andamento del mercato dei diamanti, rappresentato in stabile e costante crescita;

c) all’agevole liquidabilità e rivendibilità dei diamanti alle quotazioni indicate e con una tempistica certa; e

d) alla qualifica dei professionisti come leader di mercato.

Alla luce delle risultanze istruttorie raccolte nel corso del procedimento è emerso che le quotazioni di mercato erano i prezzi di vendita liberamente determinati dai professionisti in misura ampiamente superiore al costo di acquisto della pietra e ai benchmark internazionali di riferimento (Rapaport e IDEX); l’andamento delle quotazioni era l’andamento del prezzo di vendita delle imprese annualmente e progressivamente aumentato dai venditori e le prospettive di liquidabilità e rivendibilità erano unicamente legate alla possibilità che il professionista trovasse altri consumatori all’interno del proprio circuito.

L’Autorità ha, inoltre, accertato che gli istituti di credito, principale canale di vendita dei diamanti per entrambe le imprese, utilizzando il materiale informativo predisposto da IDB e DPI, hanno proposto l’investimento ad una specifica fascia della propria clientela interessata all’acquisto dei diamanti come un bene rifugio e a diversificare i propri investimenti.

Secondo l’Autorità il fatto che l’investimento fosse proposto da parte del personale bancario e la presenza del personale bancario agli incontri tra i due professionisti e i clienti, forniva ampia credibilità alle informazioni contenute nel materiale promozionale delle due società, determinando molti consumatori all’acquisto senza effettuare ulteriori accertamenti.

L’Autorità ha, inoltre, accertato la violazione da parte di IDB e DPI dei diritti dei consumatori nei contratti in merito al diritto di recesso e, per IDB, anche al foro competente in caso di controversie.

La vendita dei diamanti è stata proposta dai dipendenti delle banche allo sportello come soluzione di investimento a basso rischio (c.d. “bene rifugio”), con la prospettazione di un aumento del valore del capitale investito calcolato sulla base di listini, rivelatisi non congrui rispetto agli effettivi dei beni compravenduti.

Tale attività deve considerarsi una vera e propria offerta al pubblico di prodotti finanziari, dal momento che gli istituti bancari hanno prospettato ai propri clienti un ritorno economico a fronte dell’investimento di un determinato capitale.

Da ciò consegue l’applicabilità della disciplina normativa relativa obblighi informativi precontrattuali nella prestazione di servizi e attività di investimento, di cui agli artt. 21 e ss. del D.Lgs. n. 58/98 e di cui ai Regolamenti Consob applicabili, che le banche non hanno evidentemente rispettato, non facendo sottoscrivere alcuna informativa e fornendo ai clienti informazioni ingannevoli sulla redditività dei prodotti compravenduti e sul valore intrinseco degli stessi.

Gli istituti bancari hanno negato di aver agito quali intermediari di prodotti finanziari, affermando di essere meri segnalatori di investimento.    Tuttavia, anche ritenendo la banca “mero segnalatore” essa è onerata di una verifica dell’adeguatezza degli investimenti e dei prodotti da essa segnalati.

In tal senso si è espressa anche Banca d’Italia la quale con comunicazione pubblicata il 14.3.18 sul proprio sito internet ha affermato che “nel caso della commercializzazione di diamanti, le banche, oltre a considerare le caratteristiche finanziarie dei clienti cui è rivolta la proposta di acquisto, devono assicurare adeguate verifiche sulla congruità dei prezzi e predisporre procedure volte a garantire la massima trasparenza informativa sulle caratteristiche delle operazioni segnalate, quali le commissioni applicate, l'effettivo valore commerciale e le possibilità di rivendita delle pietre preziose” [1].

Nei confronti della società IDB, venditrice dei diamanti, può essere ipotizzata la risoluzione del contratto per mancanza delle qualità promesse del bene compravenduto ai sensi dell’art. 1497 c.c..

Tale rimedio è soggetto al termine di decadenza di cui all’art. 1495 c.c., che prevede che i vizi vadano denunziati al venditore entro otto giorni dalla loro scoperta, e l’azione si prescrive, in ogni caso, in un anno dalla consegna. Si potrebbe argomentare circa l’applicabilità della garanzia di conformità di cui all’art. 128 del Codice del Consumo, che tuttavia presenta dei limiti applicativi, riguardando in principalità la conformità del bene alla descrizione fatta dal venditore e all’idoneità all’uso al quale esso è destinato.

Appare inoltre ipotizzabile l’azione di annullamento del contratto di compravendita ex art. 1441 c.c., soggetta al termine prescrizionale quinquennale, in ragione del fatto che la condotta di parte venditrice – che secondo AGCM avrebbe compreso la realizzazione di listini riportanti valori dei diamanti enormemente superiori a quelli di mercato - potrebbe integrare una forma di dolo contrattuale (art. 1439 c.c.) che potrebbe aver determinato un vizio del consenso nella parte acquirente.

 

[1] http://www.bancaditalia.it/media/notizia/operazioni-di-compravendita-di-diamanti-effettuate-attraverso-gli-sportelli-bancari/

Pubblicazioni

Solamente qualche giorno fa – ordinanza n. 26805 del 12.09.2022 - la Corte di Cassazione è intervenuta per fare ancora una volta chiarezza sulle differenze semantiche e ontologiche esistenti tra il danno biologico, il danno morale e la personalizzazione. Termini polisemici e di frequente mal interpretati.

Nel richiedere la liquidazione del danno non patrimoniale spesso le parti incorrono in confusione nel nominare in modo diverso concetti uguali o nel richiedere più volte uno stesso nocumento indicandolo sotto diverse nomenclature.

Il corretto inquadramento di queste componenti che appartengono ad un unico genus – cioè quello del danno non patrimoniale - è indispensabile al fine di applicare in modo appropriato i criteri per la loro liquidazione, anche in virtù delle modifiche di recente apportate dall’Osservatorio di Milano alle tabelle meneghine.

Una prima precisazione va fatta con riferimento al danno biologico che i più fanno coincidere con il danno alla salute.

In realtà, come ben chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 7513 del 2018, il danno alla salute non va considerato, e in questo senso è d’accordo anche la medicina legale italiana, come nocumento fisico in re ipsa ma piuttosto quale compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento di tutte le sue attività quotidiane.

Sotto tale profilo il Dott. Rossetti, relatore della citata pronuncia ricordava che “In questo senso si espresse già quasi vent'anni fa (ma inascoltata) la Società Italiana di Medicina Legale, la quale in esito al Congresso nazionale tenuto nel 2001 definì il danno biologico espresso nella percentuale di invalidità permanente, come "la menomazione (...) all'integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali (...), espressa in termini di percentuale della menomazione dell'integrità psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti".”

Pertanto per danno biologico è da intendersi il danno alla salute nei suoi riflessi dinamico relazionali. Prosegue la Cassazione “Non, dunque, che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno “dinamico relazionale”. Se non avesse conseguenzedinamico relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.”

Dunque l’incidenza di una menomazione permanente sulle quotidiane attività dinamico-relazionali della vittima non è un danno diverso dal danno biologico ma è proprio ciò che lo compone.

Nell’ambito della lesione della salute e dei suoi profili dinamico-relazionali vi possono essere conseguenze comuni a tutte i soggetti che hanno quel grado di invalidità e conseguenze peculiari che abbiano cioè reso il pregiudizio subito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi similari.

Mentre le prime vengono liquidate dietro mera dimostrazione del grado di invalidità, le seconde richiedono la prova concreta ed effettiva del maggior pregiudizio subito onde ottenerne il risarcimento mediante personalizzazione del danno. Ed infatti “In applicazione di tali princìpi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).”

Il danno morale, infine, è costituito invece dai[1] “..pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).”

Il danno morale è quindi una categoria autonoma[2] rispetto al danno biologico e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato e che costituiscono come detto l’essenza del danno biologico.

L’autonomia di questa categoria – e il suo non automatico riconoscimento – si è riverberata nella revisione delle Tabelle di Milano che nella loro versione del 2021 specificano e distinguono nella liquidazione del danno non patrimoniale la componente biologico/relazionale e quella morale.

Nella pronuncia di settimana scorsa la Corte di Cassazione ha quindi chiarito l’operazione che gli operatori del diritto si trovano a dover fare nel momento della liquidazione delle poste risarcitorie e cioè dividere il danno non patrimoniale nelle sue componenti dinamico/relazionale (id est il danno biologico, se del caso personalizzato) e quella morale. Ed infatti “il giudice di merito dovrà:

1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di un danno da sofferenza morale, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che preved(eva)ono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervenivano, per il danno biologico - prima dell'ultima, necessaria modificazione all'indicazione di un valore monetario automaticamente e complessivamente unitario (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);

3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico (espressamente ed esclusivamente definito dal legislatore, fin dall'anno 2000, come danno dinamico/relazionale), depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, e liquidando, conseguentemente il solo aspetto dinamico-relazionale del danno;

4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno secondo gli stringenti criteri indicati dalla sentenza 7513/2018, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale, automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.”

4.15   Di conseguenza la personalizzazione del danno:

- andrà riconosciuta solo dietro specifica e concreta dimostrazione “di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età.”[3]

- se dimostrata, andrà liquidata mediante aumento “fino al 30% del valore del solo danno biologico[4] e non prendendo a riferimento il danno non patrimoniale nella sua unitarietà. 

 

[1] Cass. Civ. sent. n. 7513 del 2018 

[2] Cass. Civ. ordinanza n. 15733 del 17.05.2022

[3] Civile Ord. Sez. 3 Num. 7513 Anno 2018

[4] Cass. civ. Sez. III, Ord., 12.09.2022, n. 26805


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