APPROFONDIMENTI

Cumulo da parte dell’assicuratore delle azioni in via surrogatoria ex art. 1916 c.c. e in via di regresso ex art.1910 c.c.

20/11/2019

di Avv. Giandomenico Boglione

Con una recentissima sentenza del Tribunale di Milano si è finalmente acclarato in maniera netta e motivata il diritto in capo all’assicuratore merci, surrogatosi nei diritti del danneggiato nell’ambito di un trasporto stradale, di cumulare due distinte ed autonome domande, tese al recupero dell’indennizzo corrisposto e, segnatamente:

  • la domanda di rivalsa in surroga avente ad oggetto la responsabilità civile vettoriale, in relazione all’indennizzo corrisposto al proprietario della merce, azione prevista e regolata dagli artt. 1916, 1260, 1693 e s.s. c.c.; e
  • la domanda di regresso (c.d. “coassicurazione indiretta”) contro la compagnia di assicurazioni che, con separata polizza “per conto” accesa dal vettore, garantiva la medesima merce, azione prevista e regolata dall’art. 1910 co. 4 c.c.

In precedenza, la Corte di legittimità, a Sezioni Unite, aveva chiarito che si tratta di azioni completamente diverse, aventi presupposti obiettivamente diversi, senza alcuna interferenza tra i relativi presupposti fondanti il preteso diritto, sottolineando che “in tema di assicurazioni, il diritto di regresso, previsto dal terzo comma dell’art. 1910 cc, costituisce un diritto proprio dell’assicuratore, analogo (anche se non del tutto uguale) a quello che compete al condebitore solidale ai sensi dell’art. 1299 cc.

Il diritto di surroga di cui all’art. 1916 cc costituisce, invece, una particolare applicazione del principio di cui all’art. 1203 n. 3 cc e spetta all’assicuratore che abbia pagato l'indennizzo e comporta la sostituzione dello stesso nei diritti dell'assicurato verso i responsabili del danno.

Il diverso fondamento dei due istituti esclude, quindi, che la cessione del diritto di regresso comprenda o possa estendersi ai diritti nascenti dalla surroga o viceversa.”

Per quanto siano scarne le pronunce in tema di art.1910, 4° comma c.c., la Corte di legittimità ha da tempo chiarito che la coassicurazione c.d. “indiretta” prevede “una pluralità di assicurazioni  che possono essere stipulate per lo stesso interesse, contro lo stesso rischio (o contro gli stessi rischi) e per lo stesso periodo di tempo, con il limite di non poter far comunque ottenere all'assicurato un risarcimento superiore all’entità effettiva del danno patito; tali assicurazioni cumulative sono destinate ad operare congiuntamente e non in via sussidiaria o complementare l’una rispetto all’altra, dato che ciascun assicuratore è tenuto all’indennità fino al limite della somma assicurata e, nel complesso, fino all’ammontare totale del danno, salvo il regresso dell'assicuratore stesso nei confronti degli altri coobbligati .

Quanto al diritto di regresso, spettante all’assicuratore che abbia pagato in caso di assicurazioni plurime, la Cassazione ha affermato che si tratta di “un diritto proprio dell’assicuratore” ed “autonomo” rispetto a quello dell’assicurato, onde la prescrizione del diritto di regresso ex artt.1910 e 1916 decorre dalla data del pagamento dell’indennizzo.

L’assicurato è onerato di avvisare gli assicuratori della compresenza delle polizze e del verificarsi del sinistro, indicando nominativamente gli altri assicuratori, pena l’inoperatività della polizza nei suoi confronti. Tuttavia, nel caso in esame il Tribunale non ha ritenuto pertinente l’eccezione, atteso che se anche fosse vero che l’assicurato onerato dell’avviso fosse rimasto inerte, il diritto di rifiutare il pagamento dell’indennizzo è posto dalla legge a detrimento dell’assicurato onerato dell’avviso, ma non attinge il diverso ed autonomo diritto della compagnia agente in regresso ex art.1910 c.c. a ricevere un contributo proporzionale all’indennizzo pagato: “in altre parole, l’inerzia dell’assicurato non rileva ai fini del diverso ed autonomo diritto di regresso previsto dalla legge a favore dell’assicuratore che abbia pagato l’indennizzo ed a carico di compagnie che abbiano assicurato lo stesso rischio”.

Tale interpretazione dell’art. 1910, 4° comma c.c. risulta conforme alla ratio della norma che altro non è che un’applicazione speciale del generale principio di regresso tra condebitori solidali di cui all’art. 1299 c.c., ed è finalizzata ad evitare l’elusione del principio indennitario, inteso quale “espressione di un principio generale teso ad evitare che il danneggiato percepisca un risarcimento superiore al danno effettivamente subito”.

Sulla scorta di tali puntuali premesse in diritto, il Tribunale di Milano ha ritenuto che nella fattispecie vi fossero due polizze stipulate (anche) “per conto” del mittente a copertura dello stesso rischio (ossia il rischio di avaria gravante sulla merce trasportata) in favore dello stesso assicurato/mittente, ditalchè è legittima l’applicazione dell’art. 1910 co. 3 cc, essendo del tutto irrilevante che i contraenti delle citate polizze siano tra loro diversi.

Molto interessante, perché dibattuta in Italia da pochissimi e sparuti casi giurisprudenziali, è l’analitica trattazione circa il metodo di computo e la quantificazione aritmetica del contributo proporzionale dovuto ai sensi dell’art.1910 c.c. in ragione delle “indennità dovute secondo i rispettivi contratti” che il Tribunale ha correttamente eseguito sulla scorta delle indennità in concreto spettanti all’assicurato in forza dei due contratti, e non già sulle “somme assicurate”, cioè sui massimali previsti dalle due polizze concorrenti, come meglio illustrato di seguito:

(importo indennizzato dal primo assicuratore) x (importo indennizzabile dal secondo assicuratore)

_________________________________________________________

(totale importi indennizzabili delle due polizze concorrenti in coassicurazione)

 

In ultimo, il Tribunale ha accolto la domanda di pagamento in solido del vettore e dell’assicuratore merci trasportate, ritenendoli entrambe obbligati in base a diversi titoli, sancendo in tal modo la solidarietà passiva dei convenuti col limite dell’indennizzo liquidabile a termini di polizza per il co-assicuratore.

Pubblicazioni

Solamente qualche giorno fa – ordinanza n. 26805 del 12.09.2022 - la Corte di Cassazione è intervenuta per fare ancora una volta chiarezza sulle differenze semantiche e ontologiche esistenti tra il danno biologico, il danno morale e la personalizzazione. Termini polisemici e di frequente mal interpretati.

Nel richiedere la liquidazione del danno non patrimoniale spesso le parti incorrono in confusione nel nominare in modo diverso concetti uguali o nel richiedere più volte uno stesso nocumento indicandolo sotto diverse nomenclature.

Il corretto inquadramento di queste componenti che appartengono ad un unico genus – cioè quello del danno non patrimoniale - è indispensabile al fine di applicare in modo appropriato i criteri per la loro liquidazione, anche in virtù delle modifiche di recente apportate dall’Osservatorio di Milano alle tabelle meneghine.

Una prima precisazione va fatta con riferimento al danno biologico che i più fanno coincidere con il danno alla salute.

In realtà, come ben chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 7513 del 2018, il danno alla salute non va considerato, e in questo senso è d’accordo anche la medicina legale italiana, come nocumento fisico in re ipsa ma piuttosto quale compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento di tutte le sue attività quotidiane.

Sotto tale profilo il Dott. Rossetti, relatore della citata pronuncia ricordava che “In questo senso si espresse già quasi vent'anni fa (ma inascoltata) la Società Italiana di Medicina Legale, la quale in esito al Congresso nazionale tenuto nel 2001 definì il danno biologico espresso nella percentuale di invalidità permanente, come "la menomazione (...) all'integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali (...), espressa in termini di percentuale della menomazione dell'integrità psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti".”

Pertanto per danno biologico è da intendersi il danno alla salute nei suoi riflessi dinamico relazionali. Prosegue la Cassazione “Non, dunque, che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno “dinamico relazionale”. Se non avesse conseguenzedinamico relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.”

Dunque l’incidenza di una menomazione permanente sulle quotidiane attività dinamico-relazionali della vittima non è un danno diverso dal danno biologico ma è proprio ciò che lo compone.

Nell’ambito della lesione della salute e dei suoi profili dinamico-relazionali vi possono essere conseguenze comuni a tutte i soggetti che hanno quel grado di invalidità e conseguenze peculiari che abbiano cioè reso il pregiudizio subito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi similari.

Mentre le prime vengono liquidate dietro mera dimostrazione del grado di invalidità, le seconde richiedono la prova concreta ed effettiva del maggior pregiudizio subito onde ottenerne il risarcimento mediante personalizzazione del danno. Ed infatti “In applicazione di tali princìpi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).”

Il danno morale, infine, è costituito invece dai[1] “..pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).”

Il danno morale è quindi una categoria autonoma[2] rispetto al danno biologico e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato e che costituiscono come detto l’essenza del danno biologico.

L’autonomia di questa categoria – e il suo non automatico riconoscimento – si è riverberata nella revisione delle Tabelle di Milano che nella loro versione del 2021 specificano e distinguono nella liquidazione del danno non patrimoniale la componente biologico/relazionale e quella morale.

Nella pronuncia di settimana scorsa la Corte di Cassazione ha quindi chiarito l’operazione che gli operatori del diritto si trovano a dover fare nel momento della liquidazione delle poste risarcitorie e cioè dividere il danno non patrimoniale nelle sue componenti dinamico/relazionale (id est il danno biologico, se del caso personalizzato) e quella morale. Ed infatti “il giudice di merito dovrà:

1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di un danno da sofferenza morale, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che preved(eva)ono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervenivano, per il danno biologico - prima dell'ultima, necessaria modificazione all'indicazione di un valore monetario automaticamente e complessivamente unitario (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);

3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico (espressamente ed esclusivamente definito dal legislatore, fin dall'anno 2000, come danno dinamico/relazionale), depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, e liquidando, conseguentemente il solo aspetto dinamico-relazionale del danno;

4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno secondo gli stringenti criteri indicati dalla sentenza 7513/2018, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale, automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.”

4.15   Di conseguenza la personalizzazione del danno:

- andrà riconosciuta solo dietro specifica e concreta dimostrazione “di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età.”[3]

- se dimostrata, andrà liquidata mediante aumento “fino al 30% del valore del solo danno biologico[4] e non prendendo a riferimento il danno non patrimoniale nella sua unitarietà. 

 

[1] Cass. Civ. sent. n. 7513 del 2018 

[2] Cass. Civ. ordinanza n. 15733 del 17.05.2022

[3] Civile Ord. Sez. 3 Num. 7513 Anno 2018

[4] Cass. civ. Sez. III, Ord., 12.09.2022, n. 26805


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