APPROFONDIMENTI

AGLI EREDI NON VA LIQUIDATO IL DANNO DA PERDITA DI CHANCE DI SOPRAVVIVENZA SOFFERTO DAL PAZIENTE

La sentenza del 03.12.2022 del Tribunale di Milano ed il principio epicureo dell’esserci ove non c’è morte o del non esserci se morte vi è.

06/12/2022

di Avv. Stefano Zerbo

Il danno da perdita di chance di sopravvivenza non è trasmissibile dalla vittima ai suoi prossimi congiunti.

Lo ha ricordato il Tribunale di Milano (Sez. I Giudice Dott. Borrelli) con la pronuncia del 03.12.2022 nella quale - richiamando un principio in realtà non nuovo alla giurisprudenza, sebbene talvolta sottovalutato o, più sovente, ignorato – pur accogliendo le richieste di risarcimento formulate iure proprio dai genitori per la perdita del figlio neonato deceduto a distanza di solo 9 giorni dalla nascita a causa di un’infezione non curata correttamente, ha negato il risarcimento per il danno sofferto dal figlio a titolo di “perdita di possibilità di sopravvivenza” (th.: ove curato in modo adeguato, il bimbo avrebbe potuto salvarsi)  reclamato dai genitori a titolo iure hereditatis.

A sostegno dell’impossibilità di riconoscere tale posta di risarcimento, il Giudice meneghino ha fatto suo il principio espresso dalla Suprema Corte Sezioni Unite nella nota pronuncia n. 15350 del 22.07.2015 sull’inesistenza del c.d. danno da morte, mettendolo in relazione con quanto espresso in altra e ben più risalente pronuncia  del 1925 (la n. 3475) sempre delle Sez. Un., con la quale da tempo si ritiene che “se è alla lesione che si rapportano i danni, questi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato solo in quanto e fin quando il medesimo sia in vita. Questo spentosi, cessa anche la capacità di acquistare, che presuppone appunto e necessariamente l'esistenza di un subbietto di diritto".

In aderenza a quanto chiarito anche dalla Corte Costituzionale n. 372 del 1994, nella decisione in esame il Tribunale di stabilito che “non sono risarcibili iure hereditatis i danni derivanti dalla violazione del diritto alla vita, potendo aversi risarcimento, per il sistema della responsabilità civile, solo con riguardo a perdite derivate dalla violazione del diritto alla salute verificatesi a causa delle lesioni nel periodo intercorrente tra le stesse e la morte”.

La motivazione della decisione risiede nel successivo ragionamento secondo cui “Perché la perdita del bene giuridico possa costituire un danno risarcibile, è necessario che sia riferibile a un soggetto legittimato a far valere il credito risarcitorio. Nel caso di morte (perdita del bene vita) la non risarcibilità deriva (non dalla natura personalissima del diritto leso, come ritenuto da Cass. n. 6938 del 1998, poiché, come esattamente rilevato dalla sentenza n. 4991 del 1996, ciò di cui si discute è il credito risarcitorio, certamente trasmissibile), ma dalla assenza di un soggetto al quale, nel momento in cui si verifica, sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito”.

 Sulla scorta del principio (Cass. SU 22.7.2015 n. 15350) per il quale, ai fini del risarcimento del danno è necessaria l'esistenza di un soggetto creditore che, tuttavia, nel caso della perdita del bene “vita” non esiste più, il Tribunale di Milano ha esteso tale concetto anche al danno da perdita di chance di sopravvivenza, osservando come tali considerazioni “debbono indubitabilmente valere anche per la perdita della possibilità di rimanere in vita: anche tale perdita, infatti, si realizza solo con la morte del soggetto e, anzi, a ben vedere, non pare poter essere realmente distinta dalla perdita della vita”.

E quanto sopra appare condivisibile anche perchè, ove si ammettesse la trasmissibilità agli eredi del risarcimento della perdita della possibilità di sopravvivere del paziente, a fortiori dovrebbe essere risarcita la perdita della certezza di sopravvivere, che altro non è, per l’appunto, che il diritto alla vita.

Il tutto in adesione al principio epicureo secondo il quale "quando ci siamo noi non c'è la morte, quando c'è la morte non ci siamo più noi".

Allegati

Pubblicazioni

Solamente qualche giorno fa – ordinanza n. 26805 del 12.09.2022 - la Corte di Cassazione è intervenuta per fare ancora una volta chiarezza sulle differenze semantiche e ontologiche esistenti tra il danno biologico, il danno morale e la personalizzazione. Termini polisemici e di frequente mal interpretati.

Nel richiedere la liquidazione del danno non patrimoniale spesso le parti incorrono in confusione nel nominare in modo diverso concetti uguali o nel richiedere più volte uno stesso nocumento indicandolo sotto diverse nomenclature.

Il corretto inquadramento di queste componenti che appartengono ad un unico genus – cioè quello del danno non patrimoniale - è indispensabile al fine di applicare in modo appropriato i criteri per la loro liquidazione, anche in virtù delle modifiche di recente apportate dall’Osservatorio di Milano alle tabelle meneghine.

Una prima precisazione va fatta con riferimento al danno biologico che i più fanno coincidere con il danno alla salute.

In realtà, come ben chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 7513 del 2018, il danno alla salute non va considerato, e in questo senso è d’accordo anche la medicina legale italiana, come nocumento fisico in re ipsa ma piuttosto quale compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento di tutte le sue attività quotidiane.

Sotto tale profilo il Dott. Rossetti, relatore della citata pronuncia ricordava che “In questo senso si espresse già quasi vent'anni fa (ma inascoltata) la Società Italiana di Medicina Legale, la quale in esito al Congresso nazionale tenuto nel 2001 definì il danno biologico espresso nella percentuale di invalidità permanente, come "la menomazione (...) all'integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali (...), espressa in termini di percentuale della menomazione dell'integrità psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti".”

Pertanto per danno biologico è da intendersi il danno alla salute nei suoi riflessi dinamico relazionali. Prosegue la Cassazione “Non, dunque, che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno “dinamico relazionale”. Se non avesse conseguenzedinamico relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.”

Dunque l’incidenza di una menomazione permanente sulle quotidiane attività dinamico-relazionali della vittima non è un danno diverso dal danno biologico ma è proprio ciò che lo compone.

Nell’ambito della lesione della salute e dei suoi profili dinamico-relazionali vi possono essere conseguenze comuni a tutte i soggetti che hanno quel grado di invalidità e conseguenze peculiari che abbiano cioè reso il pregiudizio subito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi similari.

Mentre le prime vengono liquidate dietro mera dimostrazione del grado di invalidità, le seconde richiedono la prova concreta ed effettiva del maggior pregiudizio subito onde ottenerne il risarcimento mediante personalizzazione del danno. Ed infatti “In applicazione di tali princìpi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).”

Il danno morale, infine, è costituito invece dai[1] “..pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).”

Il danno morale è quindi una categoria autonoma[2] rispetto al danno biologico e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato e che costituiscono come detto l’essenza del danno biologico.

L’autonomia di questa categoria – e il suo non automatico riconoscimento – si è riverberata nella revisione delle Tabelle di Milano che nella loro versione del 2021 specificano e distinguono nella liquidazione del danno non patrimoniale la componente biologico/relazionale e quella morale.

Nella pronuncia di settimana scorsa la Corte di Cassazione ha quindi chiarito l’operazione che gli operatori del diritto si trovano a dover fare nel momento della liquidazione delle poste risarcitorie e cioè dividere il danno non patrimoniale nelle sue componenti dinamico/relazionale (id est il danno biologico, se del caso personalizzato) e quella morale. Ed infatti “il giudice di merito dovrà:

1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di un danno da sofferenza morale, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che preved(eva)ono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervenivano, per il danno biologico - prima dell'ultima, necessaria modificazione all'indicazione di un valore monetario automaticamente e complessivamente unitario (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);

3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico (espressamente ed esclusivamente definito dal legislatore, fin dall'anno 2000, come danno dinamico/relazionale), depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, e liquidando, conseguentemente il solo aspetto dinamico-relazionale del danno;

4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno secondo gli stringenti criteri indicati dalla sentenza 7513/2018, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale, automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.”

4.15   Di conseguenza la personalizzazione del danno:

- andrà riconosciuta solo dietro specifica e concreta dimostrazione “di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età.”[3]

- se dimostrata, andrà liquidata mediante aumento “fino al 30% del valore del solo danno biologico[4] e non prendendo a riferimento il danno non patrimoniale nella sua unitarietà. 

 

[1] Cass. Civ. sent. n. 7513 del 2018 

[2] Cass. Civ. ordinanza n. 15733 del 17.05.2022

[3] Civile Ord. Sez. 3 Num. 7513 Anno 2018

[4] Cass. civ. Sez. III, Ord., 12.09.2022, n. 26805


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