APPROFONDIMENTI

Ancora poca chiarezza interpretativa sulla clausola claims made e sulle garanzie postume

14/06/2020

di Avv. Simone Moretti

I contratti di assicurazione stipulati secondo la forma “claims made” hanno suscitato un grande dibattito, culminato con esito apparentemente definitivo con la nota sentenza delle Sezioni Unite n. 22437/2018.

La sentenza delle SS.UU. ha certamente avuto il pregio di ricondurre l’assicurazione on claim made basis allo schema contrattuale tipico del contratto di assicurazione, dichiarando superfluo il controllo di meritevolezza ex art. 1322 secondo comma c.c., che la giurisprudenza antecedente aveva teorizzato qualificando tale contratto come “atipico”.

Se da una parte si è sancita la validità e la tipicità di questa diffusa forma di contratto di assicurazione, dall’altra permangono alcune criticità interpretative. La Suprema Corte ha evidenziato che il contratto di assicurazione su base claims, proprio in quanto contratto tipico, incontra i limiti di legge secondo quanto previsto dal primo comma dell’art. 1322 c.c., con la conseguenza che l’interprete è chiamato ad operare una verifica della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l'adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge.

Tale indagine ha ad oggetto, tra l’altro, la causa concreta del contratto sotto il profilo della liceità e dell'adeguatezza dell'assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti, investendo la fase precontrattuale e quella dell'attuazione del rapporto, con la conseguenza che la tutela invocabile dall'assicurato può esplicarsi, in termini di effettività, su diversi piani, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili di volta in volta implicati.

Tale verifica, tuttavia, pare fornire risultati opposti in tema di c.d. ultrattività della garanzia, altresì nota come garanzia postuma. Il contratto di assicurazione su base claims identifica tra gli elementi essenziali del diritto all’indennizzo la richiesta di risarcimento, talvolta definita come sinistro, la quale deve pervenire nel corso del periodo assicurato. In assenza di diversa pattuizione, una polizza claims made esaurisce i suoi effetti allo scadere del periodo assicurato nel senso che eventuali richieste di risarcimento successive ad esso non rientrano nella copertura.

Con una recente ordinanza (Cass. civ. Sez. III, Ord. 13-05-2020, n. 8894) la Suprema Corte ha tuttavia dichiarato la nullità di una clausola claims, erroneamente interpretata come garanzia postuma di un anno, che prevedeva in realtà che entro 12 mesi dalla cessazione del contratto dovesse essere denunciato il sinistro. La Corte ha ritenuto la clausola vessatoria e nulla per contrarietà all’art. 2965 c.c., norma che commina la nullità dei patti con cui si stabiliscono decadenze che rendono eccessivamente difficile ad una delle parti l’esercizio del diritto. Secondo la Corte, tale formula di garanzia imporrebbe infatti all’assicurato un termine di decadenza entro il quale esercitare il diritto all’indennizzo, condizionato però alla formulazione della richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato, ossia al fatto di un terzo sul quale l’assicurato non avrebbe alcun potere.

L'interpretazione offerta dai giudici di legittimità è a nostro avviso errata, seppure il risultato concretamente raggiunto sia condivisibile: la clausola stabiliva infatti un termine entro il quale denunciare il sinistro in contrasto con il termine di prescrizione di due anni stabilito dall'art. 2952 c.c. Tuttavia, la Corte ha qualificato tale termine come "garanzia postuma" ed ha conseguentemente dichiarato la nullità di una postuma in forma claims made di un anno. Il provvedimento appare in contrasto con una precedente decisione della Corte (Cass. civ. Sez. VI - 3, Ord. 09-07-2019, n. 18413) che non aveva censurato sotto alcun profilo una clausola simile, avallando al contrario l’interpretazione offerta dalla Corte territoriale secondo la quale una garanzia postuma così congeniata avrebbe dovuto essere qualificata come una clausola di mera delimitazione del rischio.

Il contrasto sopra delineato evidenzia le persistenti difficoltà nell’interpretazione delle polizze claims made, che vanno peraltro oggi contestualizzate rispetto alle varie norme di settore che hanno imposto garanzie postume decennali a medici, avvocati e imprese edili per citare i casi più rilevanti.

Permane quindi a livello sistemico generale una zona grigia, rappresentata dalle polizze claims made prive di normativa di settore, nell’ambito della quale il contratto di assicurazione può essere oggetto di attento scrutinio in sede giudiziaria circa l’assolvimento della “causa in concreto” del contratto.

Così, una copertura con retroattività illimitata ma priva della garanzia postuma potrebbe essere ritenuta invalida allorché l’assicurato fornisca prova che tale forma contrattuale sia assolutamente inidonea a soddisfare le esigenze concrete di protezione della propria sfera giuridica. Parimenti, una postuma limitata nel tempo rispetto all’esposizione del soggetto assicurato ad azioni di terzi potrebbe essere considerata nulla, potendosi - come visto - ravvisare in tale forma contrattuale l’apposizione di un illegittimo termine di decadenza per l’assicurato.

Tali profili di incertezza impongono una redazione più consapevole dei testi assicurativi e soprattutto una maggior attenzione in fase assuntiva del rischio, volta a verificare puntualmente le esigenze di tutela sottoposte dal contraente. La delimitazione temporale della garanzia e la previsione (o meno) di garanzie postume o retroattive dovrebbero inoltre essere riportate con chiarezza non solo nelle condizioni generali di contratto, spesso di difficile lettura, ma nel frontespizio di polizza con termini chiari e comprensibili.

Avv. Simone Moretti

 

 

Di seguito il testo dell'ordinanza:

 

Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 17/02/2020) 13-05-2020, n. 8894

ASSICURAZIONE (CONTRATTO DI)
Assicurazione della responsabilità civile
 

Fatto Diritto P.Q.M.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Presidente -

Dott. CIGNA Mario - Consigliere -

Dott. VALLE Cristiano - Consigliere -

Dott. PELLECCHIA Antonella - Consigliere -

Dott. CRICENTI Giuseppe - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15578/2018 proposto da:

OSPEDALE (OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI, 21, presso lo studio dell'avvocato ANTONELLO PIERRO, che lo rappresenta e difende;

- ricorrente -

contro

C.M., G.T., GENERALI BUSINESS SOLUTIONS SCPA;

- intimati -

avverso la sentenza n. 7322/2017 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 21/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/02/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

Svolgimento del processo

L'Ospedale (OMISSIS) è stato convenuto in giudizio dai genitori del bambino C.L. per il risarcimento di danni subiti da quest'ultimo nel corso di un ricovero presso il detto Ospedale.

La struttura sanitaria è stata condannata al risarcimento, ma, sin dal momento della sua costituzione in giudizio, aveva chiesto di essere manlevata dalla compagnia di assicurazione, le Generali Italia spa, la quale ha tuttavia eccepito che il contratto conteneva una clausola claims made, che impone di denunciare il sinistro entro dodici mesi dalla cessazione di efficacia, e che quel termine era in realtà inutilmente trascorso.

Il giudice di primo grado ha ritenuto tale clausola non vessatoria, e dunque legittimo il rifiuto da parte della società Generali spa di tenere indenne l'Ospedale.

Il Giudice di appello ha confermato questo giudizio, aggiungendo che, oltre a non essere vessatoria, la clausola claims made cosi inserita, perseguiva interessi meritevoli di considerazione, meglio, non rendeva il contratto immeritevole di tutela.

Questa decisione è impugnata dall'Ospedale con tre motivi, cui si oppone la società Generali spa con controricorso.

Motivi della decisione

1.- La ratio della decisione impugnata.

La Corte di appello fa applicazione della decisione a sezioni unite di questa Corte, secondo cui la clausola claims made non è di per sè vessatoria, ma può diventare non meritevole di tutela quando comporti un significativo squilibrio tra le parti ai danni di una di esse, e questo accertamento è rimesso in concreto alla discrezionalità del giudice di merito (Cass. Sez. u. 9140/2016).

Ritiene poi la corte che questo accertamento è stato effettuato correttamente dal giudice di primo grado, anche se costui ha discusso di vessatorietà, ma in realtà intendeva riferirsi alla meritevolezza, e che comunque valutata quest'ultima alla stregua dei canoni indicati dalle sezioni unite, doveva affermarsi la piena validità della clausola.

Merita ricordare che la clausola in questione prevedeva l'obbligo dell'assicuratore di tenere indenne l'assicurato solo dei sinistri dipendenti da condotte tenute tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), ma a condizione che: a) vi fosse stata richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato entro quel periodo; b) che ricevuta richiesta di risarcimento, entro 12 mesi dalla cessazione del contratto, l'assicurato avesse denunciato il sinistro alla compagnia.

2.- L'Ospedale ricorrente propone tre motivi.

2.1.- I primi due attengono alla medesima questione e possono trattarsi congiuntamente.

Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 99, 112, e 113 c.p.c.. Secondo il ricorrente, il giudice di primo grado avrebbe compiuto una valutazione diversa da quella sottopostagli dalla difesa dell'Ospedale. Avrebbe, cioè, fatto questione di vessatorietà, quando invece gli veniva chiesto di verificare la meritevolezza della clausola.

La questione della immeritevolezza, ritenuta come questione diversa dalla vessatorietà, era stata riproposta con un motivo d'appello, e la corte di secondo grado, ritornando sulla motivazione del primo, avrebbe continuato a discutere di vessatorietà, trascurando ancora una volta la vera domanda posta dall'Ospedale, ossia quella volta ad affermare che la clausola non solo e non tanto era vessatoria, quanto soprattutto ed anche immeritevole.

Con il secondo motivo si fa questione subordinata. Ossia: ove si ritenesse che invece la corte di appello si è pronunciata anche sulla meritevolezza della clausola, allora la decisione sarebbe nulla per difetto di motivazione (si denuncia dunque violazione dell'art. 132 c.p.c.).

2.2. Entrambi questi motivi sono infondati.

Infatti la corte di merito prende atto che il ricorrente Ospedale pone una questione di meritevolezza della clausola (e non solo di vessatoreità), e conseguentemente la affronta, cosi che non incorre in omessa pronuncia, in quanto, da un lato, osserva come le considerazioni fatte dal giudice di primo grado quanto alla vessatorietà possono ben considerarsi come relative anche, nella ratio di quella decisione, alla meritevolezza, e dall'altro lato, affronta la questione direttamente nel merito, sostenendo che la clausola non è immeritevole di tutela alla luce di quanto statuito da Cass. Sez. un 9140/2016.

3.- Con il terzo motivo il ricorrente invece lamenta violazione degli artt. 1322 e 1362 c.c..

Sostiene che ha errato la corte di merito nel ritenere meritevole la clausola, anche alla luce di quanto deciso dalla citata decisione delle Sezioni Unite.

Infatti, è ben vero che in questo caso la clausola non impone di denunciare il sinistro entro il termine di scadenza del contratto, bensì concede dodici mesi da quella scadenza, ma, pur cosi facendo, pone l'assicurato in una condizione di difficoltà e debolezza, in quanto la denuncia del sinistro all'assicurazione (entro i dodici mesi dalla scadenza) presuppone che l'assicurato abbia ricevuto una tempestiva richiesta di risarcimento dal danneggiato, o meglio, che l'abbia ricevuta tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS).

Più precisamente, la clausola claims made fa dipendere la prestazione dell'assicurazione non solo dall'evento dedotto in contratto, ma altresì da un ulteriore evento incerto, quale è la richiesta di risarcimento del terzo danneggiato: se questa ultima non è tempestiva, non potrà esserlo neanche quella dell'assicurato.

La copertura assicurativa, infatti, decade se il terzo danneggiato decide di formulare la richiesta di risarcimento trascorsi dodici mesi dalla scadenza del contratto. Ossia: la tempestività della richiesta di manleva, dipende dalla tempestività della richiesta di risarcimento da parte del terzo, e questa dipendenza pone l'assicurato in una condizione di ingiustificato svantaggio nei confronti dell'assicuratore, creando una decadenza che il contraente non può evitare.

3.1.- Questo motivo è fondato.

La Sezioni Unite sono ritornate sulla questione, a seguito di due ordinanze di rimessione che ritenevano insoddisfacente la soluzione proposta dalla decisione n. 9140 del 2016.

Con sentenza 22437 del 2018 hanno riconsiderato la questione della clausola claims made (e di clausole simili) sotto un profilo qui rilevante: hanno cioè ritenuto che l'inserimento in un contratto di assicurazione di una clausola del tipo claims made non stravolge il tipo contrattuale, comportandone l'atipicità, e dunque non si applica dell'art. 1322 c.c., comma 2, che, quanto ai contratti atipici, richiede che ne sia valutata la meritevolezza.

Piuttosto, l'inserimento nel contratto di assicurazione di una clausola siffatta mantiene inalterato il tipo negoziale, ampliandone semmai il contenuto o comportandone un adattamento agli interessi delle parti, cosi che non si tratterà di valutarne la meritevolezza funzionale (astratta o concreta che sia) bensì di valutare se la determinazione del contenuto contrattuale è avvenuta nei limiti della legge (art. 1322 c.c., comma 1).

La tesi che si ricava dalla decisione delle Sezioni Unite è semplice: un contratto può dirsi atipico quando non presenta alcun carattere che differenzia un tipo dall'altro, o che identifica un tipo piuttosto che un altro.

Nel caso del contratto di assicurazione il carattere che fonda la tipicità attiene alla obbligazione di tenere indenne l'assicurato, posta a carico dell'assicuratore, e subordinata ad un evento incerto.

La circostanza di prevedere che l'avverarsi di tale evento va denunciato in un certo termine non attribuisce al contratto una caratteristica diversa da quelle che fonda la tipicità dell'assicurazione (alea, prestazione subordinata ad evento incerto).

Se la premessa è questa, cosi astratta, era di conseguenza ovvio affermare che "Il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole "on claims made basis", quale deroga convenzionale all'art. 1917 c.c., comma 1, consentita dall'art. 1932 c.c., è riconducibile al tipo dell'assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui all'art. 1322 c.c., comma 2, ma alla verifica, ai sensi dell'art. 1322 c.c., comma 1, della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l'adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge". (Cass. Sez. Un 22437/ 2018).

Questa ricostruzione va riferita dunque al caso concreto.

E' noto che l'elemento che caratterizza l'assicurazione contro i danni è quello descritto dell'art. 1917 c.c., comma 1, ossia che l'assicuratore "è obbligato a tenere indenne l'assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione, deve pagare a un terzo".

L'obbligo di tenere indenne dal peso economico dei fatti accaduti durante il tempo dell'assicurazione è l'elemento che caratterizza il tipo, ossia che fonda la tipicità del contratto di assicurazione.

Ciò non comporta ovviamente che la clausola "a richiesta fatta" (claims made) costituisca una deroga, ammissibile, a quel comma 1, ossia alla previsione per cui l'assicuratore è tenuto a mantenere indenne l'assicurato, deroga che trasforma il tipo, rendendo il contratto diverso da quello di assicurazione (Cass. 5624/2005).

Il che non teneva conto del fatto che la clausola claims made non incide sulla caratteristica tipica del contratto di assicurazione (scambio di prezzo contro obbligo di tenere indenne), ma regola semmai il diverso ruolo della richiesta risarcitoria rispetto al fatto oggetto di assicurazione.

Da qui la precisazione da parte della citata decisione delle sezioni unite, che, come detto, ha riferito alla disciplina dell'art. 1322 c.c., comma 1, l'esercizio di autonomia privata svolto da quella clausola.

Ora, qui non è il caso di entrare nella questione di come si valuti la meritevolezza: se attenga al tipo o alla causa, se possa farsene applicazione ai contratti tipici in aggiunta al criterio della illiceità (art. 1343 c.c.).

E' noto che le soluzioni prospettabili sono due: quella che ritiene che per meritevolezza debba intendersi nient'altro che illiceità, cosi che la norma sarebbe meramente ricognitiva dei divieti di legge, e quella che, invece, intende la meritevolezza come una clausola generale che abilita l'interprete ad un controllo sulle attività private (sulla conclusione di contratti atipici) secondo criteri diversi dalla illiceità tipizzata dall'art. 1343 c.c. (contrarietà a norme imperative, all'ordine pubblico ed al buon costume), ed il cui contenuto varia a seconda degli interpreti: a volte meritevolezza significa utilità sociale, altre volte immeritevole è il contratto che impedisca lo sviluppo della persona e via dicendo.

Possiamo in un certo senso prescindere da questa disputa, in quanto il contratto di assicurazione cui sia apposta la clausola in esame non diventa, per via di tale inserimento, un contratto atipico, e dunque sfugge, come ricordato dalle Sezioni Unite del 2018, sopra citate, alla disciplina dell'art. 1322 c.c., comma 2.

Restando un contratto tipico, cui le parti hanno aggiunto ulteriore contenuto, ricordano le citate Sezioni Unite, si fa riferimento dell'art. 1322 c.c., comma 1, il quale prevede in tal caso che l'autonomia delle parti, quando si esercita all'interno del tipo negoziale, senza alterarlo e trasformarlo in un contratto atipico, deve mantenersi nei limiti imposti dalla legge.

E qui il richiamo a tali limiti altro non è che il richiamo all'art. 1343 c.c.: si tratta pur sempre di un contratto tipico, salva l'aggiunta di contenuto ulteriore ad opera delle parti, e dunque di un contratto la cui liceità è misurata con il criterio dell'art. 1343 c.c..

Ciò posto è forse eccessivo allora ricordare che ogni volta che le parti realizzano un assetto di interessi diverso da quello astrattamente descritto dal legislatore va verificata la causa concreta, ossia lo scopo economico individuale.

A volte è più semplicemente questione di verifica di liceità (ai sensi dell'art. 1343 c.c.) anche della singola clausola.

Ed è il caso che ci occupa: le parti hanno arricchito il tipo contrattuale (assicurazione contro i danni) con la previsione di una decadenza a carico dell'assicurato, nei termini che si sono sopra ricordati.

Non è necessario postulare che questa clausola giustifica l'intera operazione negoziale (nei termini della causa concreta), è sufficiente chiedersi se sia lecita in sè e per sè, alla luce del criterio di cui art. 1322, comma 1, ossia se si mantenga nei limiti imposti dalla legge.

La clausola, come ricordato, pone una decadenza a carico dell'assicurato non dipendente da una sua condotta: l'assicurato può fare denuncia dell'evento nei 12 mesi dalla cessazione del contratto solo se abbia ricevuto in quei termini temporali la richiesta di risarcimento del danno, condizione che ovviamente dipende esclusivamente dal terzo danneggiato.

In tali termini essa contrasta con disposizioni imperative di legge, non solo con l'art. 1341 c.c., che vieta, se non sottoscritte, le clausole vessatorie, e che tra queste annovera espressamente quelle che impongono decadenze, ma altresì con l'art. 2965 c.c., che commina la nullità dei patti con cui si stabiliscono decadenze che rendono eccessivamente difficile ad una delle parti l'esercizio del diritto.

Ed invero, il termine apposto alla escussione dell'assicurazione, ossia al diritto di far valere la prestazione assicurativa a carico dell'assicuratore, è un termine di decadenza, che è nullo proprio perchè rende, nella fattispecie, eccessivamente difficile l'esercizio del diritto dell'assicurato. La difficoltà di esercitare il diritto non è ovviamente, come ritenuto dal giudice di merito, da valutarsi in termini temporali, nel senso che dodici mesi sono sufficienti per denunciare il sinistro all'assicurazione, ma va intesa anche nei termini della concreta possibilità di evitare la decadenza attraverso una propria condotta, possibilità che è del tutto esclusa o comunque assai ridotta se l'assicurato può fare denuncia di sinistro solo in dipendenza dalla condotta del terzo, sulla quale ovviamente non può influire. Altro è prevedere una decadenza nel termine di dodici mesi dalla richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato, altro è fissare la scadenza di dodici mesi a partire dalla scadenza del contratto, prescindendo dunque dalla circostanza che in tale lasso di tempo può non pervenire alcuna richiesta di risarcimento, che è il presupposto perchè l'assicurato si rivolga all'assicuratore, ed estendendo peraltro la decadenza al caso in cui una richiesta di risarcimento pervenga all'assicurato, ma oltre il termine di efficacia del contratto. Cosi che l'assicurato può evitare la decadenza a condizione non tanto che il terzo danneggiato faccia richiesta di risarcimento entro dodici mesi dalla cessazione degli effetti del contratto, ma che la faccia prima che si verifichi tale cessazione.

In conclusione, le clausole che rendono difficile l'esercizio del diritto (art. 2965 c.c.) sono anche quelle che prescindono dalla diligenza della parte, e che fanno dipendere quell'esercizio da una condotta del terzo, autonoma e non calcolabile. Nella fattispecie, poichè la denuncia del "sinistro" dipende dalla richiesta di risarcimento avanzata dal danneggiato verso l'assicurato, prima del quale quest'ultimo non ha interesse ad avvisare la sua assicurazione, il medesimo assicurato ha un onere (derivante dalla polizza) cui può adempiere solo se ha ricevuto in tempo una richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato, ossia se ha ricevuto la richiesta non solo entro 12 mesi dalla scadenza del contratto, ma nell'arco temporale dell'anno di sua validità.

Con conseguente violazione di legge della relativa clausola, di cui all'art. 1322 c.c..

Il ricorso va accolto, con compensazione delle spese, a causa della sopravvenienza della decisione a sezioni unite che ha espresso diverso orientamento rispetto a quella applicata dai giudici di merito a suo tempo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo, rigetta primo e secondo e, decidendo nel merito, accoglie la domanda iniziale. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2020