APPROFONDIMENTI

Coronavirus e coperture assicurative da interruzione di attività

25/02/2020

di Avv. Giandomenico Boglione

Ora che anche l’Italia si trova coinvolta direttamente dalla pandemia nota come Covid-19 e drastici provvedimenti sono stati assunti dagli enti territoriali e privati di gran parte d’Italia che limitano fortemente ed invero paralizzano quasi ogni attività imprenditoriale è corretto interrogarsi circa gli strumenti assicurativi di protezione disponibili sul mercato, ovvero le polizze a copertura dei danni economici e delle spese derivanti dall’interruzione dell’attività lavorativa dell’assicurato in conseguenza dell’avveramento di specifici sinistri subiti direttamente dalle sue strutture lavorative.

In senso più generale si utilizza l’espressione “contingent time element” per fare riferimento anche alle spese straordinarie conseguenti al danno materiale subito da un bene per uno specifico rischio indicato in polizza, dando così risalto al fatto che l’ammontare del danno risarcibile dipende dalla durata del periodo necessario per riparare o sostituire la proprietà danneggiata.

Ad integrazione di tale tipo di copertura, spesso aggiuntiva a modelli di polizza “Property”, il mercato assicurativo internazionale ha da tempo inserito coperture specificatamente dedicate al rischio “Business Interruption”, con possibili estensioni integrative ai danni conseguenti all’interruzione dell’attività lavorativa provocata da eventi assicurati che abbiano colpito beni appartenenti non solo all’assicurato ma anche a fornitori ovvero ai clienti dell’assicurata, note come “Contingent Business Interruption / Income / dependant properties”.

Posto che spesso le polizze sono solite richiamare il diritto italiano e che la maggior parte delle clausole di riferimento paiono lontani dall’esperienza assicurativa italiana è necessario integrare il testo pattiziamente prescelto con la prassi e la giurisprudenza imperanti nel luogo di origine dei clausolari attinenti alle coperture “business interruption” e che si sono diffuse originariamente sul mercato americano. A tale risultato ermeneutico si è da tempo giunti in Italia in relazione alle polizze assicurative “marittime” che, prima la dottrina poi la giurisprudenza, in casi determinati hanno inteso disciplinare secondo i principi di Common Law in ragione dell'internazionalità dei rapporti e della necessità di uniformarne la regolamentazione, esigenza avvertita anche dalla legislazione comunitaria.

Oggetto delle precitate coperture sono le perdite economiche conseguenti all’interruzione dell’attività lavorativa, nonché le spese straordinarie che l’assicurato debba incontrare a cagione dell’evento assicurato e al fine di riprendere normalmente l’attività industriale interrottasi a causa della sospensione di forniture di terzi. Si tratta di spese non ordinariamente incorse e necessarie per riprendere al più presto la produzione, alle quali si aggiungono le spese di professionisti esterni al gruppo assicurato che lo assistano nella redazione e certificazione delle evidenze poste a fondamento del claim.

La copertura si estende dal momento in cui l’evento assicurato (nel caso pandemia) incide effettivamente sull’attività esercitata fino al momento in cui riprende il “normale” funzionamento. Laddove non si esaurisca prima del termine del periodo assicurativo contrattualmente previsto, l’interruzione andrà riferita al c.d. “period of restoration".

 La portata della reale estensione di tale ultima espressione nella prassi non è agevolmente definibile, affidandosi ad un’interpretazione strettamente letterale; se da una parte l’assicurato è chiamato ad intervenire con la dovuta diligenza al fine di evitare o comunque minimizzare il danno, dall’altra parte non si può escludere che anche i danni da ripercussione occorsi dopo tale scadenza non siano ripetibili in senso assoluto. 

Il period of restoration solitamente non include l’ulteriore tempo che l’assicurato impiega per far ripartire la produzione, una volta venuta meno la causa dell’interruzione. Su tale problematica in passato insorsero dispute accese, che, sebbene non sfociate in contenziosi giudiziali, hanno indotto il mercato a modificare il wording delle polizze BI inserendo termini perentori.

Per quanto attiene al danno risarcibile, anche nel caso di polizze BI operano i principi di causalità propri del diritto ordinario in virtù della nota teoria della causalità adeguata, cossichè a dispetto della particolare ampiezza della portata propria della singola polizza, la possibilità di recuperare perdite di guadagno riconducibili all’interruzione di prestazione di servizi non esenta l’assicurato dall’onere di dimostrare la diretta consequenzialità di tali circostanze.

Pubblicazioni

Solamente qualche giorno fa – ordinanza n. 26805 del 12.09.2022 - la Corte di Cassazione è intervenuta per fare ancora una volta chiarezza sulle differenze semantiche e ontologiche esistenti tra il danno biologico, il danno morale e la personalizzazione. Termini polisemici e di frequente mal interpretati.

Nel richiedere la liquidazione del danno non patrimoniale spesso le parti incorrono in confusione nel nominare in modo diverso concetti uguali o nel richiedere più volte uno stesso nocumento indicandolo sotto diverse nomenclature.

Il corretto inquadramento di queste componenti che appartengono ad un unico genus – cioè quello del danno non patrimoniale - è indispensabile al fine di applicare in modo appropriato i criteri per la loro liquidazione, anche in virtù delle modifiche di recente apportate dall’Osservatorio di Milano alle tabelle meneghine.

Una prima precisazione va fatta con riferimento al danno biologico che i più fanno coincidere con il danno alla salute.

In realtà, come ben chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 7513 del 2018, il danno alla salute non va considerato, e in questo senso è d’accordo anche la medicina legale italiana, come nocumento fisico in re ipsa ma piuttosto quale compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento di tutte le sue attività quotidiane.

Sotto tale profilo il Dott. Rossetti, relatore della citata pronuncia ricordava che “In questo senso si espresse già quasi vent'anni fa (ma inascoltata) la Società Italiana di Medicina Legale, la quale in esito al Congresso nazionale tenuto nel 2001 definì il danno biologico espresso nella percentuale di invalidità permanente, come "la menomazione (...) all'integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali (...), espressa in termini di percentuale della menomazione dell'integrità psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti".”

Pertanto per danno biologico è da intendersi il danno alla salute nei suoi riflessi dinamico relazionali. Prosegue la Cassazione “Non, dunque, che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno “dinamico relazionale”. Se non avesse conseguenzedinamico relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.”

Dunque l’incidenza di una menomazione permanente sulle quotidiane attività dinamico-relazionali della vittima non è un danno diverso dal danno biologico ma è proprio ciò che lo compone.

Nell’ambito della lesione della salute e dei suoi profili dinamico-relazionali vi possono essere conseguenze comuni a tutte i soggetti che hanno quel grado di invalidità e conseguenze peculiari che abbiano cioè reso il pregiudizio subito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi similari.

Mentre le prime vengono liquidate dietro mera dimostrazione del grado di invalidità, le seconde richiedono la prova concreta ed effettiva del maggior pregiudizio subito onde ottenerne il risarcimento mediante personalizzazione del danno. Ed infatti “In applicazione di tali princìpi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).”

Il danno morale, infine, è costituito invece dai[1] “..pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).”

Il danno morale è quindi una categoria autonoma[2] rispetto al danno biologico e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato e che costituiscono come detto l’essenza del danno biologico.

L’autonomia di questa categoria – e il suo non automatico riconoscimento – si è riverberata nella revisione delle Tabelle di Milano che nella loro versione del 2021 specificano e distinguono nella liquidazione del danno non patrimoniale la componente biologico/relazionale e quella morale.

Nella pronuncia di settimana scorsa la Corte di Cassazione ha quindi chiarito l’operazione che gli operatori del diritto si trovano a dover fare nel momento della liquidazione delle poste risarcitorie e cioè dividere il danno non patrimoniale nelle sue componenti dinamico/relazionale (id est il danno biologico, se del caso personalizzato) e quella morale. Ed infatti “il giudice di merito dovrà:

1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di un danno da sofferenza morale, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che preved(eva)ono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervenivano, per il danno biologico - prima dell'ultima, necessaria modificazione all'indicazione di un valore monetario automaticamente e complessivamente unitario (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);

3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico (espressamente ed esclusivamente definito dal legislatore, fin dall'anno 2000, come danno dinamico/relazionale), depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, e liquidando, conseguentemente il solo aspetto dinamico-relazionale del danno;

4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno secondo gli stringenti criteri indicati dalla sentenza 7513/2018, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale, automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.”

4.15   Di conseguenza la personalizzazione del danno:

- andrà riconosciuta solo dietro specifica e concreta dimostrazione “di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età.”[3]

- se dimostrata, andrà liquidata mediante aumento “fino al 30% del valore del solo danno biologico[4] e non prendendo a riferimento il danno non patrimoniale nella sua unitarietà. 

 

[1] Cass. Civ. sent. n. 7513 del 2018 

[2] Cass. Civ. ordinanza n. 15733 del 17.05.2022

[3] Civile Ord. Sez. 3 Num. 7513 Anno 2018

[4] Cass. civ. Sez. III, Ord., 12.09.2022, n. 26805


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