APPROFONDIMENTI

Coronavirus e coperture assicurative da interruzione di attività, implicazioni interpretative

24/09/2020

di Avv. Giandomenico Boglione

Mentre la pandemia nota come Covid-19 sembra non allentare la morsa e si succedono nel mondo provvedimenti governativi che paralizzano le attività commerciali nella quasi totalità dei settori produttivi, le corti di diversi paesi hanno già espresso importanti pronunce circa la ripetibilità dei danni conseguenti all’interruzione delle attività in virtù delle polizze c.d. “business interruption”.

Promanazione delle coperture “property”, tali garanzie operano in funzione ed in conseguenza di “danni materiali” subiti dalla struttura produttiva assicurata, tipicamente a causa di incendi o eventi catastrofali.

In assenza di un danno (fatta eccezione per le poco conosciute “non damage business interruption” – dette “NDBI”) la copertura “B.I.” non entra in rischio.

Tale aspetto preliminare presenta precipue difficoltà interpretative nei reclami per “Covid-19” circa la riconducibilità della contaminazione del virus ad un vero e proprio danno materiale posto che, secondo alcune ricerche, la sua carica virale rimane sulle superfici da tre secondi a due minuti, sebbene la sua capacità di rapidissima diffusione nell’ambiente tramite vettori inconsapevoli possa allungarne la sopravvivenza fino a cinque giorni.

L’interprete è quindi chiamato ad eseguire un’attenta disamina del testo contrattuale per verificare l’eventuale presenza di clausole che sostanzialmente mutano la natura della copertura “BI” in “NDBI” o comunque prevedono deroghe, estendendo la garanzia a cause e circostanze non direttamente riconducibili a “danni materiali”.

Tra i primi casi noti alla cronaca si è segnalata la pronuncia del Tribunale di Parigi che, il maggio scorso, ha accolto la domanda per la perdita di incassi subiti da una società di gestione di quattro ristoranti a seguito delle norme restrittive emanate dal governo francese, fondando invero il reclamo su un testo contrattuale decisamente ambiguo – e non sorprendentemente ritenuto favorevole alla parte contraente - nella parte delle condizioni generali in cui garantiva l’indennizzo conseguente a fermo amministrativo.

Dall’altra sponda dell’oceano, invece, fatta salva qualche sporadica eccezione e forse in funzione di testi di polizza più accurati, le corti americane hanno segnato diversi punti a favore degli assicuratori, con accoglimento delle domande nei soli casi di “distinct, demonstrable, physical alteration” (MRI Healthcare Ctr. of Glendale, Inv. V. State Farm Gen. Ins. Co. 187 Cal. App.).

Diverso ancora è stato l’approccio e soprattutto il risultato della giurisprudenza inglese, meglio delineato dalla recente azione di accertamento promossa dalla stessa “authority” inglese per le assicurazioni, corrispondente alla nostra Ivass (FCA v. Arch and Others, 15.9.2020); un vero e proprio “test case” di indubbia mole e importanza per tutti gli assicuratori del settore “B.I.” e di grande (e per chi scrive inedita) utilità per tutti gli operatori del settore.

Attraverso l’analisi di 21 capitolati di polizze “B.I.”, edite da otto diversi assicuratori operanti sul mercato inglese, la Corte londinese ha fornito l’interpretazione giudiziale delle più frequenti clausole integrative che potenzialmente estendono la copertura per perdite economiche non direttamente riconducibili a danni materiali.

Il tema, articolato e complesso, è stato suddiviso in tre gruppi di clausole relative a:

  • malattie, ovvero clausole che garantiscono la copertura in caso di interruzione dell’attività in conseguenza di patologie occorse entro un determinato raggio di distanza dai locali o aziende assicurati;
  • limitazioni del libero accesso ai locali o aziende in forza di provvedimenti di autorità;
  • disposizioni che sono soggette a restrizioni imposte in relazione a una malattia soggetta a denuncia.

Per ogni singola clausola la Corte ha provveduto ad offrire una disamina certosina, giungendo a risultati diversi anche in considerazione delle innumerevoli variabili circostanziali che, seppure a titolo esemplificativo, andranno adeguati al singolo caso di specie.

Particolarmente complessa appare l’analisi delle c.d. “trend clause” ovvero quei termini contrattuali che definiscono l’oggetto della copertura al fine di escludere quei danni che l’assicurato avrebbe comunque sofferto. Su tali clausole gli assicuratori hanno ampiamente fatto riferimento al dibattutissimo (e da molte parti criticatissimo) leading case Orient Express Hotels Ltd v Assicurazioni Generali SpA che negò i danni subiti dal proprietario di un hotel a New Orleans a seguito degli uragani Katrina e Rita. Se nessuno poteva dubitare circa l’indennizzabilità dei danni materiali subiti dall’hotel, gli assicuratori italiani contestarono le perdite da interruzione di attività perché esse si sarebbero, in ogni caso, verificate a causa della devastazione nell'area circostante l'hotel, abbandonata in massa prima che si verificasse il cataclisma.

La Corte londinese invero è andata ben oltre, criticando fortemente il precedente americano, sottolineando (con condivisa puntualizzazione propria dei soli esperti in materia assicurativa) che la decisione avrebbe confuso il concetto di pericolo assicurato con il danno causato da una casualità coperta, ovvero gli uragani, aggiungendo che la causa prossima della perdita non era il "Danno" bensì il "Danno causato da uragani". In tesi, tale confusione terminologica avrebbe portato all'assurdo risultato che più grave era l’evento catastrofale, minore sarebbe stata la copertura disponibile: se l'uragano avesse solo danneggiato l'albergo, ci sarebbe stato un pieno recupero.

La decisione inglese sicuramente farà parlare, ma l’esperimento britannico è meritevole di plauso, anche per la profondità di analisi (nelle 162 pagine di motivazione si passano in rassegna tutti i principi fondamentali del diritto delle assicurazioni tramite puntuale richiamo di innumerevoli “case precedent”) e la rapidità con la quale si è concluso (iniziato il 9 giugno si è concluso, dopo due settimane di dibattimento serratissimo via Skype for business, il 15 settembre), nonché per la fattiva collaborazione mostrata dalle parti che potranno eventualmente convenire di appellare la pronuncia “per saltum” direttamente alla Suprema Corte.

Spetta ora alle parti verificare il da farsi: per gli assicurati si impone la verifica delle proprie polizze e l’eventuale applicabilità dei principi e le clausole “testate” dalla Corte inglese al fine di procedere, o meno, con il reclamo dell’indennizzo; per gli assicuratori, oltre alla cauta analisi delle richieste indennitarie, in merito alle quali la FCA ha già imposto rigide “guidelines”, si impone l’obbligo di rivedere sostanzialmente i propri capitolati per definire con precisione eventuali clausole che estendano le coperture “B.I.” a situazioni non direttamente correlate a danni fisici.

Pubblicazioni

Solamente qualche giorno fa – ordinanza n. 26805 del 12.09.2022 - la Corte di Cassazione è intervenuta per fare ancora una volta chiarezza sulle differenze semantiche e ontologiche esistenti tra il danno biologico, il danno morale e la personalizzazione. Termini polisemici e di frequente mal interpretati.

Nel richiedere la liquidazione del danno non patrimoniale spesso le parti incorrono in confusione nel nominare in modo diverso concetti uguali o nel richiedere più volte uno stesso nocumento indicandolo sotto diverse nomenclature.

Il corretto inquadramento di queste componenti che appartengono ad un unico genus – cioè quello del danno non patrimoniale - è indispensabile al fine di applicare in modo appropriato i criteri per la loro liquidazione, anche in virtù delle modifiche di recente apportate dall’Osservatorio di Milano alle tabelle meneghine.

Una prima precisazione va fatta con riferimento al danno biologico che i più fanno coincidere con il danno alla salute.

In realtà, come ben chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 7513 del 2018, il danno alla salute non va considerato, e in questo senso è d’accordo anche la medicina legale italiana, come nocumento fisico in re ipsa ma piuttosto quale compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento di tutte le sue attività quotidiane.

Sotto tale profilo il Dott. Rossetti, relatore della citata pronuncia ricordava che “In questo senso si espresse già quasi vent'anni fa (ma inascoltata) la Società Italiana di Medicina Legale, la quale in esito al Congresso nazionale tenuto nel 2001 definì il danno biologico espresso nella percentuale di invalidità permanente, come "la menomazione (...) all'integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali (...), espressa in termini di percentuale della menomazione dell'integrità psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti".”

Pertanto per danno biologico è da intendersi il danno alla salute nei suoi riflessi dinamico relazionali. Prosegue la Cassazione “Non, dunque, che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno “dinamico relazionale”. Se non avesse conseguenzedinamico relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.”

Dunque l’incidenza di una menomazione permanente sulle quotidiane attività dinamico-relazionali della vittima non è un danno diverso dal danno biologico ma è proprio ciò che lo compone.

Nell’ambito della lesione della salute e dei suoi profili dinamico-relazionali vi possono essere conseguenze comuni a tutte i soggetti che hanno quel grado di invalidità e conseguenze peculiari che abbiano cioè reso il pregiudizio subito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi similari.

Mentre le prime vengono liquidate dietro mera dimostrazione del grado di invalidità, le seconde richiedono la prova concreta ed effettiva del maggior pregiudizio subito onde ottenerne il risarcimento mediante personalizzazione del danno. Ed infatti “In applicazione di tali princìpi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).”

Il danno morale, infine, è costituito invece dai[1] “..pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).”

Il danno morale è quindi una categoria autonoma[2] rispetto al danno biologico e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato e che costituiscono come detto l’essenza del danno biologico.

L’autonomia di questa categoria – e il suo non automatico riconoscimento – si è riverberata nella revisione delle Tabelle di Milano che nella loro versione del 2021 specificano e distinguono nella liquidazione del danno non patrimoniale la componente biologico/relazionale e quella morale.

Nella pronuncia di settimana scorsa la Corte di Cassazione ha quindi chiarito l’operazione che gli operatori del diritto si trovano a dover fare nel momento della liquidazione delle poste risarcitorie e cioè dividere il danno non patrimoniale nelle sue componenti dinamico/relazionale (id est il danno biologico, se del caso personalizzato) e quella morale. Ed infatti “il giudice di merito dovrà:

1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di un danno da sofferenza morale, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che preved(eva)ono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervenivano, per il danno biologico - prima dell'ultima, necessaria modificazione all'indicazione di un valore monetario automaticamente e complessivamente unitario (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);

3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico (espressamente ed esclusivamente definito dal legislatore, fin dall'anno 2000, come danno dinamico/relazionale), depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, e liquidando, conseguentemente il solo aspetto dinamico-relazionale del danno;

4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno secondo gli stringenti criteri indicati dalla sentenza 7513/2018, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale, automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.”

4.15   Di conseguenza la personalizzazione del danno:

- andrà riconosciuta solo dietro specifica e concreta dimostrazione “di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età.”[3]

- se dimostrata, andrà liquidata mediante aumento “fino al 30% del valore del solo danno biologico[4] e non prendendo a riferimento il danno non patrimoniale nella sua unitarietà. 

 

[1] Cass. Civ. sent. n. 7513 del 2018 

[2] Cass. Civ. ordinanza n. 15733 del 17.05.2022

[3] Civile Ord. Sez. 3 Num. 7513 Anno 2018

[4] Cass. civ. Sez. III, Ord., 12.09.2022, n. 26805


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