APPROFONDIMENTI

Il patto di gestione della lite e la sopportazione dei relativi oneri economici per legge e secondo gli usuali formulari di polizza

13/07/2014

di Avv. Stefano Zerbo

Per patto di gestione della lite si intende la contrattualizzazione del principio secondo il quale l'obbligo dell'assicuratore di tenere indenne l'assicurato si adempie anche in assenza di pagamenti al terzo, difendendo l'assicurato da pretese ritenute infondate sotto il profilo dell' "an debeatur" o del "quantum debeatur".

Attraverso tale patto l'assicuratore assume le difese del proprio assicurato allorché tra le due parti sussista una comunanza di interesse in tal senso, fermo e considerato che l'interesse del primo non può prescindere da quello del secondo [1].

Mediante la gestione della lite l'assicuratore non solo adempie ai propri obblighi verso l'assicurato quale altra parte contrattuale, ma agisce direttamente come un mandatario in rem propriam [2] che, accanto al proprio, ha dunque l'onere di tutelare l'interesse altrui: in nessun caso, fin tanto che ha la gestione del sinistro, l'assicuratore può prescindere dagli interessi dell'assicurato [3].

E' ben possibile che, in talune situazioni, gli interessi possano divergere (ipotizziamo nel caso di insufficienza del massimale rispetto al possibile esborso risarcitorio o qualora una parte del danno rientri in qualcuna delle esclusioni esaminate in precedenza), ma in ogni caso l'assicuratore, per tutelare i propri interessi, non può pregiudicare quelli dell'assicurato.

Come ben chiarito dal Tribunale di Roma tale istituto pone infatti "...l'assicuratore nella veste di mandatario (senza rappresentanza), con il compito di vagliare, usando la dovuta diligenza, l'opportunità o meno di resistere alla domanda del danneggiato, nonché, in caso positivo di svolgere adeguate difese, ma non statuisce a carico dell'assicuratore l'obbligazione di apprestare - sempre e comunque - la tutela legale dell'assicurato nelle sedi giudiziali ed extragiudiziali, in quanto riserva in via esclusiva alla società assicuratrice la mera facoltà - e dunque la libertà di scelta in relazione alla valutazione discrezionale del proprio interesse nel caso concreto - di "assumere la gestione delle vertenze in nome dell'assicurato" (Trib. Roma 01 giugno 2004).

In altri termini, l'assicuratore ha interesse a gestire il danno fin tanto che la garanzia è operante ed il massimale è capiente e, viceversa, lo stesso deve interrompere la gestione allorché l'interesse viene meno.

Ciò, evidentemente, non già nell'esclusivo interesse dell'assicuratore quanto in quello primario del suo assicurato al quale viene rimessa la tutela dei propri interessi allorquando il massimale assicurativo erogabile ai sensi di polizza sia stato del tutto eroso. Diversamente, la perdurante gestione dell'assicuratore privo del necessario interesse "coincidente" andrebbe a detrimento dei diritti dell'assicurato il quale ben potrebbe tuttavia invitarlo a mantenere la gestione del sinistro nel suo interesse laddove ritenga di non possedere i necessari mezzi tecnici ed il know how per gestire al meglio le vertenze.

In mancanza di un puntuale accordo in tale particolare circostanza, l'assunzione della gestione della lite da parte dell'assicuratore fino a quando c'è interesse non significa gestire il sinistro nel proprio interesse, bensì gestirlo finché l'interesse c'è e non gestirlo (o gestirlo d'intesa con l'Assicurato) quando l'interesse non c'è più.

Assicuratore e assicurato hanno entrambi interesse – poco importa se con motivazioni interne opposte – a che il sinistro non si avveri: basti pensare che il comportamento antigiuridico dell'assicurato che contravviene dolosamente agli obblighi legali (art. 1914 c.c.) e convenzionali di salvataggio (allargati a quelli che sovrintendono all'obbligatoria attività di prevenzione degli infortuni) è sanzionato, nell'assicurazione contro i danni, con la perdita o la riduzione dell'indennità (art. 1915 c.c.) laddove i costi degli interventi (meritori quanto obbligatori) dell'assicurato per evitare o diminuire i danni sono a carico dell'assicuratore "in proporzione del valore assicurato rispetto a quello che aveva al tempo del sinistro, salvo che l'assicuratore provi che le spese sono state fatte inconsideratamente" (art. 1914 c.c.).

Nei formulari il patto di gestione della lite è sovente dettato da previsioni quali la seguente: "La Società assume, fino a quando ne ha interesse, a nome dell'Assicurato Contraente, la gestione stragiudiziale e giudiziale delle vertenze in sede civile, penale ed amministrativa designando, ove occorra, legali o tecnici ed avvalendosi di tutti i diritti ed eccezioni spettanti all'Assicurato stesso."

A mezzo di tale clausola la compagnia di assicurazioni assume a nome e per conto dell'assicurato la gestione delle liti, giudiziali e stragiudiziali, promosse da terzi nei confronti dell'azienda assicurata e provvede a tal fine alla nomina di legali fiduciari precedentemente scelti di comune accordo.

Essa non ha dunque l'obbligo di assumere la gestione della vertenza ma, se decide di assumerla, ha l'onere di curare gli interessi dell'assicurato il quale, invece, è obbligato ad affidare all'assicuratore la gestione della lite con il terzo nel caso in cui la Compagnia abbia manifestato la volontà di volersi avvalere della facoltà in questione [4].

In questo senso va letta la previsione spesso contenuta nelle polizze a mente del quale "La Società ha il diritto di rivalersi sull'Assicurato Contraente del pregiudizio derivatole dall'inadempimento di tali obblighi." riconoscendo all'assicuratore il diritto di rivalsa nei confronti dell'assicurato allorché quest'ultima non abbia consentito la gestione diretta della lite con conseguente pregiudizio in termini economici alla società.

Nell'ipotesi di contenzioso nel quale l'assicurata sia parte processuale, quest'ultima conferisce direttamente al legale fiduciario del proprio assicuratore la delega necessaria all'esplicazione delle difese il costo delle quali, in ossequio a quanto previsto dall'art. 1917 terzo comma c.c., è posto a carico dell'assicuratore stesso.

Nell'esercizio di questa sua facoltà l'assicuratore designa, in nome e per conto dell'assicurato, legali e tecnici ma non risponde delle spese relative per fiduciari non designati e scelti autonomamente dall'assicurato.

Se, in caso di contenzioso, la gestione dell'assicuratore sul presupposto dell'esistenza del patto di gestione della lite contrattualizzato si esplica ovviamente attraverso la nomina diretta da parte dell'assicurato - parte processuale - del legale difensore indicatogli dall'assicuratore che sopporta per esso le relative spese, quid iuris allorché l'assicurato nomini un proprio legale in assenza di previsioni di polizza che stabiliscano l'esistenza del patto di gestione? E' l'assicuratore a dover pagare in ogni caso le relative spese ovvero queste ultime sono rimesse ad esclusivo carico dell'ente assicurato?

Sul punto le previsione dell'art. 1917 III comma c.c. non sembrano in effetti lasciare ampi spazi interpretativi allorché espressamente stabilisce che "Le spese sostenute per resistere all'azione del danneggiato contro l'assicurato sono a carico dell'assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata.": l'assicuratore ha l'obbligo di rifondere le spese sostenute dall'assicurato indipendentemente da quanto pattuito in polizza con l'introduzione di accordi differenti. L'art.1917 III comma c.c. è infatti norma inderogabile ai sensi dell'art.1932 c.c. sicché nullo sarebbe qualsiasi patto, compreso quello di gestione della lite, che limitasse o eliminasse il diritto dell'assicurato di chiamare in causa l'assicuratore.

Il patto con il quale l'assicuratore si riserva la facoltà di nominare propri legali e di gestire la lite sia in sede giudiziale che stragiudiziale, sia in sede civile che penale, non è in contrasto con l'art.1917 c.c. ma ne costituisce, a parere di chi scrive, una specificazione pattizia che tiene conto proprio della convergenza di interessi fra assicurato ed assicuratore [5] alla quale più sopra si è fatto ampio cenno.

 

[1] Si discute se rientri o meno nelle facoltà dell'assicuratore, in virtù del patto di gestione della lite, il compimento di atti dispositivi dei diritti dell'assicurato, con particolare riferimento alla transazione: in senso favorevole Corte di Cassazione 8 settembre 1970 n.1332, in Assic.1971, II, 2, 232; contra Corte di Cassazione 13 luglio 1977 n.3138 in Foro it. 1978, I, 457.

[2] Così, fra le molte, Corte di Cassazione Sez. III 9 gennaio 1990 n.71.

[3] La Corte di Cassazione, intervenuta sul tema, ha statuito che "il patto con cui l'assicuratore assume la gestione della lite configura un negozio atipico accessorio al contratto di assicurazione, costituendo un mezzo attraverso il quale viene data esecuzione al rapporto stesso", Cassazione, Sez. III, 17 novembre 1994, n. 9744.

[4] Paola Persano Adorno "Il patto di gestione della lite nei contratti di assicurazione: alcune riflessioni."Giur. merito 2005, 6, 1302.

[5] E, del resto, all'interesse fa comunque riferimento l'art. 1917 c.c.

Pubblicazioni

Solamente qualche giorno fa – ordinanza n. 26805 del 12.09.2022 - la Corte di Cassazione è intervenuta per fare ancora una volta chiarezza sulle differenze semantiche e ontologiche esistenti tra il danno biologico, il danno morale e la personalizzazione. Termini polisemici e di frequente mal interpretati.

Nel richiedere la liquidazione del danno non patrimoniale spesso le parti incorrono in confusione nel nominare in modo diverso concetti uguali o nel richiedere più volte uno stesso nocumento indicandolo sotto diverse nomenclature.

Il corretto inquadramento di queste componenti che appartengono ad un unico genus – cioè quello del danno non patrimoniale - è indispensabile al fine di applicare in modo appropriato i criteri per la loro liquidazione, anche in virtù delle modifiche di recente apportate dall’Osservatorio di Milano alle tabelle meneghine.

Una prima precisazione va fatta con riferimento al danno biologico che i più fanno coincidere con il danno alla salute.

In realtà, come ben chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 7513 del 2018, il danno alla salute non va considerato, e in questo senso è d’accordo anche la medicina legale italiana, come nocumento fisico in re ipsa ma piuttosto quale compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento di tutte le sue attività quotidiane.

Sotto tale profilo il Dott. Rossetti, relatore della citata pronuncia ricordava che “In questo senso si espresse già quasi vent'anni fa (ma inascoltata) la Società Italiana di Medicina Legale, la quale in esito al Congresso nazionale tenuto nel 2001 definì il danno biologico espresso nella percentuale di invalidità permanente, come "la menomazione (...) all'integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali (...), espressa in termini di percentuale della menomazione dell'integrità psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti".”

Pertanto per danno biologico è da intendersi il danno alla salute nei suoi riflessi dinamico relazionali. Prosegue la Cassazione “Non, dunque, che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno “dinamico relazionale”. Se non avesse conseguenzedinamico relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.”

Dunque l’incidenza di una menomazione permanente sulle quotidiane attività dinamico-relazionali della vittima non è un danno diverso dal danno biologico ma è proprio ciò che lo compone.

Nell’ambito della lesione della salute e dei suoi profili dinamico-relazionali vi possono essere conseguenze comuni a tutte i soggetti che hanno quel grado di invalidità e conseguenze peculiari che abbiano cioè reso il pregiudizio subito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi similari.

Mentre le prime vengono liquidate dietro mera dimostrazione del grado di invalidità, le seconde richiedono la prova concreta ed effettiva del maggior pregiudizio subito onde ottenerne il risarcimento mediante personalizzazione del danno. Ed infatti “In applicazione di tali princìpi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).”

Il danno morale, infine, è costituito invece dai[1] “..pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).”

Il danno morale è quindi una categoria autonoma[2] rispetto al danno biologico e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato e che costituiscono come detto l’essenza del danno biologico.

L’autonomia di questa categoria – e il suo non automatico riconoscimento – si è riverberata nella revisione delle Tabelle di Milano che nella loro versione del 2021 specificano e distinguono nella liquidazione del danno non patrimoniale la componente biologico/relazionale e quella morale.

Nella pronuncia di settimana scorsa la Corte di Cassazione ha quindi chiarito l’operazione che gli operatori del diritto si trovano a dover fare nel momento della liquidazione delle poste risarcitorie e cioè dividere il danno non patrimoniale nelle sue componenti dinamico/relazionale (id est il danno biologico, se del caso personalizzato) e quella morale. Ed infatti “il giudice di merito dovrà:

1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di un danno da sofferenza morale, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che preved(eva)ono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervenivano, per il danno biologico - prima dell'ultima, necessaria modificazione all'indicazione di un valore monetario automaticamente e complessivamente unitario (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);

3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico (espressamente ed esclusivamente definito dal legislatore, fin dall'anno 2000, come danno dinamico/relazionale), depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, e liquidando, conseguentemente il solo aspetto dinamico-relazionale del danno;

4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno secondo gli stringenti criteri indicati dalla sentenza 7513/2018, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale, automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.”

4.15   Di conseguenza la personalizzazione del danno:

- andrà riconosciuta solo dietro specifica e concreta dimostrazione “di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età.”[3]

- se dimostrata, andrà liquidata mediante aumento “fino al 30% del valore del solo danno biologico[4] e non prendendo a riferimento il danno non patrimoniale nella sua unitarietà. 

 

[1] Cass. Civ. sent. n. 7513 del 2018 

[2] Cass. Civ. ordinanza n. 15733 del 17.05.2022

[3] Civile Ord. Sez. 3 Num. 7513 Anno 2018

[4] Cass. civ. Sez. III, Ord., 12.09.2022, n. 26805


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