APPROFONDIMENTI

L’ assolvimento dell’onere della prova in capo alla parte assicurata in caso di furto

11/06/2014

di Avv. Giandomenico Boglione

Vi è in Giurisprudenza un acceso dibattito circa la prova del furto del bene assicurato ovvero la dimostrazione del c.d. "fatto costitutivo" del diritto all'indennizzo assicurativo posto alla base della domanda indennitaria.
Spesso si registrano sentenze nelle quali l'assicurato, al fine di soddisfare gli oneri probatori su di sé gravanti ai sensi dell'art. 2697 cod. civ., si limita a produrre la sua denuncia di furto sporta alle Autorità. Tuttavia, sul tema già da tempo la nostra Suprema Corte di Cassazione [1] è ferma nel ritenere che "...la denuncia (n.d.r. nel caso era di rapina) è atto di parte ed i fatti in essa indicati non possono assurgere a fatti certi se non attraverso il filtro del giudice nel corso dell'istruttoria; di modo che quei fatti sono e debbono essere essi stessi oggetto di accertamento, che non può dirsi realizzato sol perché sussista una denuncia penale... (omissis) il generico assunto della sentenza istruttoria penale che sui fatti denunciati siano state eseguite dalla polizia giudiziaria infruttuose indagini non è idoneo ad attribuire presunzione di veridicità a fatti mai accertati".
La sola produzione della denuncia di furto non esime dunque l'assicurato dalla prova rigorosa in primis della preesistenza della res assicurata nelle condizioni e nel luogo indicate dall'assicurato e, in secondo luogo, della verificazione dell'evento-furto. In tal senso si esprimono le Corti di merito secondo le quali "Al fine di ottenere il pagamento dell'indennizzo per il furto di un'autovettura, l'assicurato deve dimostrare che l'autovettura esisteva effettivamente, era idonea a svolgere la funzione sua propria di mezzo di locomozione e trasporto ed era dotata di un apprezzabile valore economico all'epoca della lamentata sottrazione, deve essere cioè dimostrata la così detta "preesistenza" dell'autovettura come veicolo funzionante e dotato di un apprezzabile valore economico, in mancanza della quale prova il furto non è credibile, non bastando a dimostrare l'asserita sottrazione la sola denuncia presentata alla autorità di polizia, che consiste in una dichiarazione della stessa parte interessata alla riscossione dell'indennizzo" [2].
Parimenti, "La circostanza che la polizza di assicurazione esiga, per caso di sottrazione mediante furto o rapina del mezzo di trasporto sul quale sono caricate le merci, la presentazione di una denuncia, non esime l'assicurato dall'onere di provare la causa del sinistro" [3].
In assenza della dimostrazione dell'evento "furto" prevarrà la monolitica giurisprudenza di Cassazione in tema di assicurazioni marittime a mente della quale "In tema di assicurazione della nave, l'onere della prova è regolato dall'art. 2697 c.c., e cioè dal principio che chi vuole far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento (mentre chi ne eccepisce l'inefficacia deve provare gli estremi della propria eccezione), con la conseguenza che l'assicurato che vuol fare valere il proprio diritto all'indennizzo deve provare che si è realizzato il rischio coperto da garanzia e che esso ha causato il danno del quale chiede di essere indennizzato." [4]
Tale principio, ampiamente condiviso in Dottrina [5] è valido in ogni ramo dell'assicurazione posto che se viene assicurato un rischio determinato, il "fatto costituivo", che consiste nella prova dell'evento come delimitato in contratto, deve essere provato ad opera dell'assicurato [6]. Viceversa, se il rischio viene individuato anche negativamente mediante eccezioni, significa che le circostanze impedienti l'esigibilità della prestazione d'indennizzo debbono essere provate dal preteso obbligato, ovvero dall'assicuratore. [7]
Sul tema fondamentale della delimitazione del rischio assicurato, è bene ricordare che l'individuazione del rischio può essere effettuata con indicazioni positive ovvero con indicazioni negative e talvolta con indicazioni positive e negative [8] in quanto solitamente nelle polizze sono contemporaneamente indicate sia le circostanze in cui l'evento deve manifestarsi (c.d. rischi assunti) sia quelle la cui ricorrenza esclude la copertura (c.d. rischi esclusi) [9].

 

[1] Cfr. sentenza n. 10262 del 7 settembre 1992 (pubblicata in Dir. Mar. 1993, 698).

[2] Corte d'Appello di Milano 5 novembre 2004 la cui massima è pubblicata in Giustizia a Milano 2004, 75.

[3] Ca Milano, 9 gennaio 1996 Soc. Guardamiglio carni c. Soc. Insurance Co. North America, pubblicata in Dir. maritt. 1998, 1128.

[4] Cassazione nel 1995, in data 10 maggio, n. 5123 in Assicurazioni 1997, II, 2 Giust. civ. Mass. 1995, 980; in Giust. civ. 1995, I,2033.

[5] A. DONATI, Trattato del diritto delle assicurazioni private, II, Milano, 1954, 431; cfr., sostanzialmente nello stesso senso, anche G. FANELLI, Le assicurazioni, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da A. CICU e F. MESSINEO, Milano, 1980, 134: l'assicurato deve senz'altro provare "che si è verificato l'evento (la lesione dell'interesse patrimoniale) qualificato dalla causa indicata nel contratto (l'incendio, la grandine, il furto, ecc.)"; G. VOLPE PUTZOLU, Le assicurazioni. Produzione e distribuzione, Bologna, 1992, 120; ma v., in senso parzialmente diverso, G. SCALFI, I contratti di assicurazione. L'assicurazione danni, Torino, 1991, 228-229: l'assicurato deve provare il sinistro, ossia che è accaduto il fatto e che esso ha prodotto un danno, in conformità al principio dell'art. 2697, comma 1°, c.c.;. Sulla ripartizione dell'onere della prova fra assicurato e assicuratore in tema di assicurazione contro i danni, v., in generale, anche G. CASTELLANO S. SCARLATELLA, Le assicurazioni private, in Giur. sist. civ. comm., fondata da W. BIGIAVI, 2ª ed., Torino, 1981, 359 ss.

[6] R. CALVO, L'onere della prova, in Contr. impr., 1996, 1022.

[7] E. FOGLIANI, Onere della prova e navigabilità della nave nell'assicurazione corpi, in Nuova giur. civ. comm., 1996, I, 432.

[8] A. DONATI, Trattato, cit., II, 144 ss., in particolare 147-147.

[9] G. FANELLI, Le assicurazioni, cit., 104 ss., 111 ss; A. DE GREGORIO - G. FANELLI, Diritto delle assicurazioni, II,Il contratto di assicurazione, Milano, 1987, pp. 82 ss.; G. SCALFI, I contratti di assicurazione, cit., 70 ss.; N. GASPERONI, Le assicurazioni, in Tratt. dir. civ., diretto da G.GROSSO E F. SANTORO-PASSARELLI, Milano, 1966, 63-64.

Pubblicazioni

Solamente qualche giorno fa – ordinanza n. 26805 del 12.09.2022 - la Corte di Cassazione è intervenuta per fare ancora una volta chiarezza sulle differenze semantiche e ontologiche esistenti tra il danno biologico, il danno morale e la personalizzazione. Termini polisemici e di frequente mal interpretati.

Nel richiedere la liquidazione del danno non patrimoniale spesso le parti incorrono in confusione nel nominare in modo diverso concetti uguali o nel richiedere più volte uno stesso nocumento indicandolo sotto diverse nomenclature.

Il corretto inquadramento di queste componenti che appartengono ad un unico genus – cioè quello del danno non patrimoniale - è indispensabile al fine di applicare in modo appropriato i criteri per la loro liquidazione, anche in virtù delle modifiche di recente apportate dall’Osservatorio di Milano alle tabelle meneghine.

Una prima precisazione va fatta con riferimento al danno biologico che i più fanno coincidere con il danno alla salute.

In realtà, come ben chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 7513 del 2018, il danno alla salute non va considerato, e in questo senso è d’accordo anche la medicina legale italiana, come nocumento fisico in re ipsa ma piuttosto quale compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento di tutte le sue attività quotidiane.

Sotto tale profilo il Dott. Rossetti, relatore della citata pronuncia ricordava che “In questo senso si espresse già quasi vent'anni fa (ma inascoltata) la Società Italiana di Medicina Legale, la quale in esito al Congresso nazionale tenuto nel 2001 definì il danno biologico espresso nella percentuale di invalidità permanente, come "la menomazione (...) all'integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali (...), espressa in termini di percentuale della menomazione dell'integrità psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti".”

Pertanto per danno biologico è da intendersi il danno alla salute nei suoi riflessi dinamico relazionali. Prosegue la Cassazione “Non, dunque, che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno “dinamico relazionale”. Se non avesse conseguenzedinamico relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.”

Dunque l’incidenza di una menomazione permanente sulle quotidiane attività dinamico-relazionali della vittima non è un danno diverso dal danno biologico ma è proprio ciò che lo compone.

Nell’ambito della lesione della salute e dei suoi profili dinamico-relazionali vi possono essere conseguenze comuni a tutte i soggetti che hanno quel grado di invalidità e conseguenze peculiari che abbiano cioè reso il pregiudizio subito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi similari.

Mentre le prime vengono liquidate dietro mera dimostrazione del grado di invalidità, le seconde richiedono la prova concreta ed effettiva del maggior pregiudizio subito onde ottenerne il risarcimento mediante personalizzazione del danno. Ed infatti “In applicazione di tali princìpi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).”

Il danno morale, infine, è costituito invece dai[1] “..pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).”

Il danno morale è quindi una categoria autonoma[2] rispetto al danno biologico e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato e che costituiscono come detto l’essenza del danno biologico.

L’autonomia di questa categoria – e il suo non automatico riconoscimento – si è riverberata nella revisione delle Tabelle di Milano che nella loro versione del 2021 specificano e distinguono nella liquidazione del danno non patrimoniale la componente biologico/relazionale e quella morale.

Nella pronuncia di settimana scorsa la Corte di Cassazione ha quindi chiarito l’operazione che gli operatori del diritto si trovano a dover fare nel momento della liquidazione delle poste risarcitorie e cioè dividere il danno non patrimoniale nelle sue componenti dinamico/relazionale (id est il danno biologico, se del caso personalizzato) e quella morale. Ed infatti “il giudice di merito dovrà:

1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di un danno da sofferenza morale, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che preved(eva)ono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervenivano, per il danno biologico - prima dell'ultima, necessaria modificazione all'indicazione di un valore monetario automaticamente e complessivamente unitario (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);

3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico (espressamente ed esclusivamente definito dal legislatore, fin dall'anno 2000, come danno dinamico/relazionale), depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, e liquidando, conseguentemente il solo aspetto dinamico-relazionale del danno;

4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno secondo gli stringenti criteri indicati dalla sentenza 7513/2018, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale, automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.”

4.15   Di conseguenza la personalizzazione del danno:

- andrà riconosciuta solo dietro specifica e concreta dimostrazione “di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età.”[3]

- se dimostrata, andrà liquidata mediante aumento “fino al 30% del valore del solo danno biologico[4] e non prendendo a riferimento il danno non patrimoniale nella sua unitarietà. 

 

[1] Cass. Civ. sent. n. 7513 del 2018 

[2] Cass. Civ. ordinanza n. 15733 del 17.05.2022

[3] Civile Ord. Sez. 3 Num. 7513 Anno 2018

[4] Cass. civ. Sez. III, Ord., 12.09.2022, n. 26805


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