APPROFONDIMENTI

LA NATURA DEL DANNO PATRIMONIALE FUTURO IN AMBITO DI RESPONSABILITA’ MEDICA E LA SUA RISARCIBILITA’ MEDIANTE LA COSTITUZIONE DI UNA RENDITA VITALIZIA

23/05/2017

di Avv. Giorgio Briozzo

Il Giudice della Prima Sezione Civile del Tribunale di Milano, Dott.ssa Flamini, ha pronunciato in data 9 maggio 2017 la sentenza n. 4681/2017, con la quale ha fatto applicazione del principio di cui all'art. 2057 c.c. nell'ambito di una causa azionata per un danno da responsabilità medica nei confronti delle strutture sanitarie che hanno eseguito i trattamenti medici.
In ragione di tale articolo, significativamente rubricato "Danni permanenti", il giudice può liquidare il danno "sotto forma di una rendita vitalizia". La norma non fissa particolari condizioni per l'applicazione di tale istituto, salva la necessità che "il danno alle persone [abbia] carattere permanente". L'articolo prosegue dettando due parametri per la liquidazione in tale forma: le condizioni delle parti (di tutte le parti coinvolte) e la natura del danno (che, si è detto, deve essere comunque un danno alla persona).
Nel caso di specie, il giudice milanese ha inteso fare applicazione dell'illustrata disposizione in riferimento ad una duplice fonte di danno e all'esito delle valutazioni circa la quantificazione del danno non patrimoniale, sebbene possa rilevarsi che la lettera della norma non riferisce la possibilità di fare ricorso alla costituzione di una rendita per il risarcimento del solo danno patrimoniale.
Soprassedute le considerazioni svolte in punto di danno non patrimoniale, occorre soffermarsi sulle modalità di liquidazione del danno patrimoniale subito dal soggetto e dai suoi familiari, ed in particolare sulle diverse voci di danno a tal fine considerate.
Nella sentenza in commento il giudice ha innanzitutto liquidato il danno emergente nella misura della spese mediche sostenute e documentate. Quindi, e per quanto qui maggiormente interessa, il magistrato si è soffermato sulla componente "futura" del danno cagionato al diretto danneggiato dalle strutture convenute, sulla base del disposto di cui all'art. 1223 c.c., il quale riconduce all'inadempimento il risarcimento della "perdita subita dal creditore" e del "mancato guadagno" che siano "conseguenza immediata e diretta" dell'inadempimento.
Tale componente è stata ricostruita su di una duplice fonte.
In primo luogo, in qualità di "danno patrimoniale futuro" inteso quale esborso necessario che il danneggiato dovrà effettuare per la prosecuzione delle cure cui si dovrà sottoporre. Nella motivazione fornita, tali cure si rendono e si renderanno, infatti, pressoché certamente ineludibili per tutta la durata della vita del danneggiato, secondo il normale decorso causale che è possibile presumere con relativa certezza in virtù dello stato della scienza medica e della comune conoscenza. La risarcibilità di spese mediche future in cui il danneggiato incorrerà con ogni probabilità è stata ammessa da tempo dalla Corte di cassazione (si vedano, in particolare, Cass. 26 giugno 2012, n. 10616; Cass. 23 gennaio 2002, n. 752). Lo stesso giudice milanese richiama, con specifico riferimento alla risarcibilità del danno patrimoniale futuro, Cass. nn. 10072/2010, 1637/2000,1336/1999, 495/1987, 2302/1965. In ragione di ciò, stanti la specifica "natura del danno" e la "condizione della parte danneggiata", il giudice ha fatto quindi applicazione della costituzione di una rendita vitalizia ex artt. 1872 ss. c.c. a carico delle strutture condannate e in beneficio del danneggiato nella misura delle spese mediche future presumibilmente sustinendae, dedotta l'indennità di accompagno accordata allo stesso e rivalutate annualmente.
Sulla natura e la categoria cui ascrivere il danno patrimoniale futuro si è espressa la Suprema Corte, la quale espressamente ricostruisce tale voce "sia in termini di danno emergente che di lucro cessante" (Cass. 27 aprile 2010, n. 10072). E' pertanto chiaro che la Corte abbia ammesso la possibilità di riconoscere un danno emergente "ora per allora" in quanto esso sia "conseguenza immediata e diretta" dell'inadempimento o dell'inesatto adempimento. L'art. 1223 c.c., in effetti, cita più genericamente "la perdita subita" e il "mancato guadagno". L'espressione "lucro cessante", invece, è espressamente utilizzata dall'art. 2056 c.c. che indica i criteri da impiegare per la liquidazione del danno da responsabilità aquiliana. Del resto, la stessa Corte di cassazione ha specificato che "la locuzione «perdita subita», con la quale l'art. 1223 c.c. individua il danno emergente, non può essere considerata indicativa dei soli esborsi monetari o di diminuzioni patrimoniali già materialmente intervenuti" (Cass. 10 novembre 2010, n. 22826). Ciò è maggiormente comprensibile se si considera che l'espressione "danno emergente" non è mai impiegata dal legislatore nel codice civile.
Ad ogni buon conto, altra parte della dottrina e della giurisprudenza (cui apparentemente appartiene il giudice milanese), considerano il danno patrimoniale futuro voce del lucro cessante, il quale sarebbe pertanto più ampio del solo "mancato guadagno", dovendosi ricomprendere più in generale in tale categoria ogni futuro pregiudizio, esborso o mancata chance. Secondo tale impostazione, quindi, il danno emergente risulterebbe essere solo la "perdita subita" già maturata al momento della decisione. La sentenza de qua, nell'assegnare la rendita, distingue però semplicemente tra "danno futuro" e "danno già maturato".
La diversa ricostruzione e categorizzazione delle voci del danno patrimoniale discende quindi dalla diversa dicotomia nella quale si intende suddividere il danno risarcibile a norma dell'art. 1223 c.c.. Secondo una prima ipotesi, si può infatti ricostruire la dicotomia "perdita subita" e "mancato guadagno" nel senso di distinguere tra danni presenti/passati (già maturati) e danni futuri (maturandi), a prescindere dal configurarsi del danno quale esborso o quale mancato introito. La seconda ipotesi ricostruisce invece detta dicotomia nel senso di distinguere tra perdita/esborso e perdita/mancato introito a prescindere dal tempo passato, presente o futuro in cui tale perdita si verifica o si è verificata. Sebbene chi scrive valuti la seconda ipotesi illustrata più conforme al dato normativo, la distinzione non trova particolare rilevanza quanto alla risarcibilità del danno stesso a mezzo di una rendita vitalizia.
Quale seconda voce del danno futuro liquidato dalla sentenza in esame, certamente da ricondursi a lucro cessante in quanto "mancato guadagno" futuro, è invece il danno da riduzione della capacità lavorativa specifica che abbia cagionato la riduzione della capacità di guadagno. La capacità di lavoro specifica è voce del danno concettualmente a sé stante rispetto alla generica capacità di lavoro, la cui lesione è piuttosto individuabile quale conseguenza e componente del danno biologico. La riduzione della capacità di guadagno è invece voce del danno patrimoniale derivante, appunto, dal futuro mancato guadagno che sia conseguenza immediata e diretta dell'altrui inesatto adempimento o inadempimento. Sulla risarcibilità a titolo di lucro cessante della riduzione della capacità di guadagno esiste copiosissima giurisprudenza di legittimità, la quale peraltro ammette pacificamente la dimostrazione del danno mediante il ricorso a presunzioni semplici (si segnalano ex multis Cass. 5 febbraio 2013, n. 2644; Cass. 11 dicembre 2012, n. 22638; Cass. 2 agosto 2012, n. 13912;; Cass. 29 agosto 2009, n. 17677; Cass. 29 aprile 2006, n. 10037).
Anche in riferimento a tale seconda voce di danno futuro il giudice milanese ha disposto la costituzione di una rendita vitalizia a favore del diretto danneggiato facendo applicazione analogica del criterio di cui all'art. 137 d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private). Detta rendita è costituita nuovamente a carico delle strutture condannate, al netto della pensione di invalidità, da rivalutarsi annualmente e "fino al raggiungimento dell'età pensionabile" in quanto espressamente costituita quale risarcimento per equivalente del futuro minor reddito. Ciò tuttavia si pone in contrasto con il disposto dell'art. 1873 c.c., il quale espressamente riconduce la durata di una rendita vitalizia alla vita di un soggetto determinato. Pertanto, ancorché resti rispettato il carattere aleatorio necessario della rendita (stante la possibilità di un prematuro decesso del beneficiario), sembrerebbe però da escludersi la possibilità di configurare una "rendita vitalizia a tempo determinato", salvo voler ammettere l'esistenza di un potere giudiziale conferito ex art. 2057 c.c. di costituire un tertium genus di rendita a configurabilità libera. Altrimenti, deve ricondursi il risarcimento disposto per tale seconda forma di danno patrimoniale futuro ad una modalità di pagamento "rateale" erroneamente ricondotta all'istituto della rendita dal giudice di Milano. La giurisprudenza di merito ha infatti riconosciuto a più riprese il carattere "essenziale" del riferimento temporale della rendita alla durata della vita di una persona (Cass. 10 marzo 1965, n. 385; Cass. 6 aprile 1995, n. 4025).
Sebbene nel caso di specie si verta in punto di ristoro di danni patrimoniali, la costituzione di una rendita risulta essere impiegata quale espressa e soddisfacente applicazione del criterio di valutazione equitativa del danno anche non patrimoniale, in applicazione degli art. 1226 e 2056 c.c., dovendosi ritenere non obbligatorio in tal caso il ricorso alle tabelle per la costituzione delle rendite fissate dal r.d. 9 ottobre 1922, n. 1403 (Cass. 2 febbraio 2007. n. 2309).
Il Tribunale, proseguendo, ha dato applicazione all'ultimo periodo dell'art. 2057 c.c.1 imponendo a carico delle strutture la sottoscrizione di una polizza fideiussoria a prima richiesta. Il giudice ha pertanto fatto applicazione del contratto atipico di assicurazione fideiussoria, il quale costituisce "una figura contrattuale intermedia tra il versamento cauzionale e la fideiussione ed è contraddistinta dall'assunzione dell'impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazione, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta dal contraente; peraltro, essendo caratterizzata dalla stessa funzione di garanzia della fideiussione, ad essa è applicabile, ove non derogata dalle parti, la disciplina legale tipica di tale contratto" (Cass. 29 gennaio 2016, n. 1724). Non solo, ma tale garanzia deve essere stipulata a prima richiesta a favore del beneficiario così da permettere a questi l'accesso al pagamento mediante una semplice richiesta scritta nella quale dichiari l'inadempimento del contraente.
In ogni caso e concludendo, la ratio della scelta da parte del giudice di merito di risarcire il danno futuro, sia esso emergente o da lucro cessante, mediante la costituzione di una rendita a favore del danneggiato trova fondamento nella valutazione della "natura del danno" e della "condizione delle parti" (nello specifico, del danneggiato). Infatti, la peculiarità dei danni futuri prospettati e prognosticati risiede proprio nel fatto che essi non si sono ancora verificati al momento della condanna, ma verosimilmente si produrranno quale "perdita subita" secondo un grado elevato di certezza in virtù del citato criterio dell'id quod plerumque accidit. E' pertanto possibile, e anzi doveroso, liquidarli e condannare la controparte al loro risarcimento quale conseguenza immediata del fatto di parte convenuta. Proprio in quanto saranno subiti "poi" è confacente rispetto alla natura stessa del danno disporre un ristoro che segua il loro verificarsi.
Per la stessa ragione, vale la pena di notare che il giudicante non ha proceduto nello stesso senso per quanto riguarda il possibile danno patrimoniale futuro da esborso che i familiari potrebbero subire se si sottoponessero ad un trattamento psicoterapico presso un libero professionista in ragione del danno morale subito per la condizione e la sofferenza del parente leso. Il giudice non ha infatti ritenuto provata una tale circostanza neppure per presunzioni semplici, stante la non prevedibilità di tali esborsi con sufficiente grado di certezza.
Già il Tribunale di Bergamo, nonché lo stesso Tribunale di Milano, hanno esplicitato la precipua funzione del ricorrere alla costituzione della rendita vitalizia per il risarcimento dei danni futuri (il primo aderendo alla seconda concezione di distinzione tra lucro cessante e danno emergente e il secondo conformandosi invece alla prima). In particolare, la costituzione della rendita "appare lo strumento più idoneo al fine di evitare i problemi legati all'individuazione della durata della vita media del soggetto, all'impiego di coefficienti desueti, e all'anticipata liquidazione del danno futuro" (Trib. Bergamo, 24 febbraio 2016, n. 679). Il Tribunale di Milano ha approfondito l'ulteriore aspetto, fondamentale nell'opinione di chi scrive, della possibilità di costituire una rendita a risarcimento del danno. Infatti, "la costituzione di una rendita vitalizia (...) [consente] al giudice d'ufficio (e dunque senza la necessità di una specifica domanda in tal senso) di valutare la particolare condizione della parte danneggiata e la natura del danno con tutte le sue conseguenze" (Trib. Milano, 27 gennaio 2015, s.n. richiamando Cass. 24451/2005). E' perciò piena facoltà del giudice decidere di risarcire il danno costituendo una rendita anche in mancanza di una specifica domanda di parte in tal senso, da ritenersi quindi implicitamente ricompresa nella generale domanda di risarcimento.
Resta in limine da evidenziare il profilo di applicabilità dell'art. 2057 c.c. al risarcimento del danno da responsabilità contrattuale, quale è quella invocata e espressamente attribuita dal giudice di Milano alle strutture sanitarie convenute. Il giudice milanese, dopo aver espressamente ricondotto la responsabilità delle strutture convenute al novero della responsabilità contrattuale, ha compiuto infatti una diretta ed espressa applicazione degli art. 2056, 2057 e 2059 c.c., riconducibili piuttosto alla responsabilità aquiliana. Detti articoli risultano infatti ricompresi nel Titolo IX relativo ai fatti illeciti, le cui norme richiamano al più quelle già stabilite per la responsabilità contrattuale. Tuttavia, e ancorché in effetti il giudice milanese motivi la propria decisione con esplicito richiamo dell'art. 2057 c.c., è ben possibile riscontrare l'ampia libertà di cui gode il giudice nel determinare le modalità di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale ex artt. 1223 ss. c.c.. In virtù del generale principio interpretativo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit è infatti possibile dare un'interpretazione estensiva di tale articolo e del successivo art. 1226 c.c. che ricomprenda altresì la facoltà del giudice di costituire una rendita, o un pagamento periodico, a favore del danneggiato.

Pubblicazioni

Solamente qualche giorno fa – ordinanza n. 26805 del 12.09.2022 - la Corte di Cassazione è intervenuta per fare ancora una volta chiarezza sulle differenze semantiche e ontologiche esistenti tra il danno biologico, il danno morale e la personalizzazione. Termini polisemici e di frequente mal interpretati.

Nel richiedere la liquidazione del danno non patrimoniale spesso le parti incorrono in confusione nel nominare in modo diverso concetti uguali o nel richiedere più volte uno stesso nocumento indicandolo sotto diverse nomenclature.

Il corretto inquadramento di queste componenti che appartengono ad un unico genus – cioè quello del danno non patrimoniale - è indispensabile al fine di applicare in modo appropriato i criteri per la loro liquidazione, anche in virtù delle modifiche di recente apportate dall’Osservatorio di Milano alle tabelle meneghine.

Una prima precisazione va fatta con riferimento al danno biologico che i più fanno coincidere con il danno alla salute.

In realtà, come ben chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 7513 del 2018, il danno alla salute non va considerato, e in questo senso è d’accordo anche la medicina legale italiana, come nocumento fisico in re ipsa ma piuttosto quale compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento di tutte le sue attività quotidiane.

Sotto tale profilo il Dott. Rossetti, relatore della citata pronuncia ricordava che “In questo senso si espresse già quasi vent'anni fa (ma inascoltata) la Società Italiana di Medicina Legale, la quale in esito al Congresso nazionale tenuto nel 2001 definì il danno biologico espresso nella percentuale di invalidità permanente, come "la menomazione (...) all'integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali (...), espressa in termini di percentuale della menomazione dell'integrità psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti".”

Pertanto per danno biologico è da intendersi il danno alla salute nei suoi riflessi dinamico relazionali. Prosegue la Cassazione “Non, dunque, che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno “dinamico relazionale”. Se non avesse conseguenzedinamico relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.”

Dunque l’incidenza di una menomazione permanente sulle quotidiane attività dinamico-relazionali della vittima non è un danno diverso dal danno biologico ma è proprio ciò che lo compone.

Nell’ambito della lesione della salute e dei suoi profili dinamico-relazionali vi possono essere conseguenze comuni a tutte i soggetti che hanno quel grado di invalidità e conseguenze peculiari che abbiano cioè reso il pregiudizio subito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi similari.

Mentre le prime vengono liquidate dietro mera dimostrazione del grado di invalidità, le seconde richiedono la prova concreta ed effettiva del maggior pregiudizio subito onde ottenerne il risarcimento mediante personalizzazione del danno. Ed infatti “In applicazione di tali princìpi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).”

Il danno morale, infine, è costituito invece dai[1] “..pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).”

Il danno morale è quindi una categoria autonoma[2] rispetto al danno biologico e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato e che costituiscono come detto l’essenza del danno biologico.

L’autonomia di questa categoria – e il suo non automatico riconoscimento – si è riverberata nella revisione delle Tabelle di Milano che nella loro versione del 2021 specificano e distinguono nella liquidazione del danno non patrimoniale la componente biologico/relazionale e quella morale.

Nella pronuncia di settimana scorsa la Corte di Cassazione ha quindi chiarito l’operazione che gli operatori del diritto si trovano a dover fare nel momento della liquidazione delle poste risarcitorie e cioè dividere il danno non patrimoniale nelle sue componenti dinamico/relazionale (id est il danno biologico, se del caso personalizzato) e quella morale. Ed infatti “il giudice di merito dovrà:

1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di un danno da sofferenza morale, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che preved(eva)ono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervenivano, per il danno biologico - prima dell'ultima, necessaria modificazione all'indicazione di un valore monetario automaticamente e complessivamente unitario (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);

3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico (espressamente ed esclusivamente definito dal legislatore, fin dall'anno 2000, come danno dinamico/relazionale), depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, e liquidando, conseguentemente il solo aspetto dinamico-relazionale del danno;

4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno secondo gli stringenti criteri indicati dalla sentenza 7513/2018, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale, automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.”

4.15   Di conseguenza la personalizzazione del danno:

- andrà riconosciuta solo dietro specifica e concreta dimostrazione “di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età.”[3]

- se dimostrata, andrà liquidata mediante aumento “fino al 30% del valore del solo danno biologico[4] e non prendendo a riferimento il danno non patrimoniale nella sua unitarietà. 

 

[1] Cass. Civ. sent. n. 7513 del 2018 

[2] Cass. Civ. ordinanza n. 15733 del 17.05.2022

[3] Civile Ord. Sez. 3 Num. 7513 Anno 2018

[4] Cass. civ. Sez. III, Ord., 12.09.2022, n. 26805


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