APPROFONDIMENTI

La surrogazione dell’Assicuratore, particolarità applicative con risvolti processuali

L'art. 1916 c.c.

03/07/2014

di Avv. Stefano Ricciardi

L'art. 1916 [1] del codice civile prevede e disciplina l'azione di surrogazione dell'Assicuratore che, pagata l'indennità a favore dell'Assicurato, ha facoltà di sostituirsi nei diritti di quest'ultimo avverso i terzi responsabili del danno.
Per capire a fondo la natura di tale istituto appare di preliminare rilevanza individuare la ratio che ha spinto il Legislatore a regolare e prevedere una simile azione a favore dell'Assicuratore onde poterne meglio capire i riscontri pratici ed il ruolo di indispensabile "correttivo" nell'ambito del rapporto triangolare Assicurato/Assicuratore/Responsabile del danno.
A seguito della commissione di un fatto illecito a danno di un soggetto assicurato sorgono infatti contestualmente e simultaneamente due distinte situazioni giuridiche rilevanti: il diritto dell'Assicurato nei confronti dell'Assicuratore ad ottenere l'indennizzo per come previsto nel testo di polizza e, del pari, quello dell'Assicurato nei confronti del Responsabile del danno a conseguire il relativo risarcimento per il danno arrecatogli.
Laddove ci fermassimo a tale primo e prematuro risultato, palesemente inique sarebbero le conseguenze prodotte dalla verificazione di un sinistro coperto da una polizza assicurativa: l'Assicurato/danneggiato potendo richiedere sia il risarcimento che l'indennizzo assicurativo si troverebbe in una posizione economica ben più favorevole rispetto al suo status quo ante, finendo per snaturarsi la stessa funzione del contratto di assicurazione che assumerebbe contorni propri di altri schemi contrattuali, come quello della scommessa [2].
L'ammissibilità di un siffatto cumulo produrrebbe in altre parole il paradossale risultato di trasformare l'evento dannoso in un avvenimento desiderato o quantomeno desiderabile per l'assicurato a dispetto del ben noto principio indennitario sul quale, come noto, si fonda il contratto di assicurazione contro i danni.
E' proprio per scongiurare tali paradossali conseguenze che il Legislatore ha previsto ed introdotto l'Istituto della surrogazione assicurativa.
L'art. 1916 c.c. permette di salvaguardare il principio indennitario sul quale poggia l'assicurazione contro i danni impedendo all'Assicurato di percepire una doppia liquidazione – l'indennizzo dall'assicuratore ed il risarcimento del danno dal responsabile – e contestualmente evita che il danneggiante possa trarre ingiusti vantaggi dalla circostanza che la vittima dell'illecito, assicurato con polizza danni, percepito l'indennizzo possa abbandonare ogni azione nei suoi confronti.
La giurisprudenza vede pressoché unanimemente in questo istituto un'ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto di credito dell'assicurato che ha beneficiato dell'indennizzo: l'assicuratore, cioè, che ha corrisposto una determinata indennità in virtù della sua obbligazione derivante dalla polizza, subentra nei diritti del percipiente - e nei limiti dell'indennità corrisposta - nei confronti del responsabile del danno.
Momento "translativo" del diritto al risarcimento del danno nei confronti del danneggiante risulta essere per alcuni [3] l'effettivo pagamento dell'indennizzo assicurativo, per altri invece - dottrina maggioritaria [4] a dire il vero - l'acquisizione del diritto in capo all'Assicuratore conseguirebbe ad una sua espressa manifestazione di volontà, la c.d. denuntiatio.
Il diritto acquistato dall'assicuratore è da considerarsi esattamente il medesimo di cui era già titolare l'assicurato ed al primo sono conseguentemente opponibili tutte le eccezioni che il responsabile avrebbe potuto opporre al secondo.

Se presupposto fondante l'esercizio della surroga ex art. 1916 c.c. è costituito dal pagamento dell'indennizzo in favore dell'assicurato danneggiato, va segnalato che sotto il profilo processuale la giurisprudenza riconosce invero la facoltà dell'assicuratore di chiamare in causa il terzo responsabile anche prima dell'effettiva erogazione della prestazione all'assicurato e della contestuale denuntiatio ed al fine ottenere, evidentemente in un'ottica di economia dei giudizi, una sentenza di condanna al rimborso di quanto eventualmente l'assicuratore stesso dovesse essere tenuto a pagare a titolo indennitario [5].
Del resto di frequente le compagnie chiamanti in causa anelano invocare il suindicato orientamento giurisprudenziale per legittimare la propria pretesa a veder accertata l'eventuale responsabilità del terzo danneggiante in ordine ai fatti per i quali è causa prima dell'eventuale accertamento del proprio obbligo indennitario nei riguardi dell'Assicurato.
Se però teniamo a mente le considerazioni supra svolte circa la natura dell'azione surrogatoria ex art. 1916 c.c. capiamo che gli orizzonti che si possono prospettare sono in realtà altri.
Secondo ultima Giurisprudenza, infatti, la chiamata in giudizio del soggetto danneggiante deve essere necessariamente promossa direttamente dal danneggiato/assicurato in sede di propria costituzione in giudizio onde evitare la decadenza cui la stessa inesorabilmente incorrerebbe ex art. 167 c.p.c. risultando poi l'esercizio di tale facoltà preclusa de relato anche ai suoi assicuratori.
La Suprema Corte difatti aveva già avuto modo di chiarire che "...La surroga dell'assicuratore nei diritti dell'assicurato verso il responsabile, ai sensi dell'art. 1916 c.c., comporta l'acquisto a titolo derivativo di tali diritti nel medesimo stato, con lo stesso contenuto e con gli stessi limiti in cui essi spettavano all'assicurato, venendo il detto assicuratore a subentrare nell'identica posizione sostanziale e processuale dei danneggiati verso il terzo autore del fatto dannoso."(Cass. Civ. III sez. 4 giugno 2007 n.12939).
Recependo tale posizione recente Giurisprudenza di merito ha dichiarato, conformemente ai sovraesposti ragionamenti, l'estromissione delle parti chiamate in causa dagli Assicuratori - e da queste ritenute quali responsabili dei danni occorsi - poiché tale chiamata in causa poteva esser promossa dal solo soggetto Assicurato, questo non esercitandola ne era ormai decaduto ai sensi dell'art. 167 c.p.c. e dunque le Compagnie Assicuratrici, subentrando ai sensi dell'art. 1916 c.c. nei diritti dell'assicurato, si trovano ad esser titolari di un diritto in realtà ormai già estinto a causa del suo mancato tempestivo esercizio da parte dell'Assicurato.
Chiarissimo nello spiegare tale complesso ma fondamentale passaggio, l'Ill.mo Giudicante ha statuito che: "..occorre anzitutto dichiarare la inammissibilità dell'istanza di chiamata in causa formulata dalle Compagnie Assicuratrici nei confronti di B***, C**** (medici coinvolti) ed Azienda Ospedaliera **** nei confronti dei quali peraltro parte attrice non ha esteso la domanda risarcitoria, in considerazione del fatto che, avuto riguardo all'istituto della surroga dell'assicuratore previsto dall'art. 1916 c.c. applicabile alla fattispecie, soltanto l'assicurata avrebbe potuto chiedere l'autorizzazione alla chiamata in causa di altri soggetti dalla stessa ritenuti eventualmente corresponsabili nella determinazione dell'evento, e non certo l'assicuratore". A guisa di tale attento ragionamento il Giudice concludeva osservando come " Non si riesce a comprendere pertanto come le Compagnie assicuratrici possano surrogarsi in un diritto il cui esercizio per l'assicurato risulti irrimediabilmente precluso".
Ben consapevoli di questa irrimediabile preclusione e per evitare di incorrere in simili situazioni alcune Compagnie Assicurative hanno invero provveduto ad inserire nei propri testi di polizza clausole che prevedano - laddove vi siano più responsabili dell'evento dannoso e non siano le compagnie a gestire la lite – l'obbligo in capo all'Assicurato di richiedere l'accertamento del grado di colpa di ciascuno dei responsabili coinvolgendo direttamente in giudizio anche tali soggetti.
Indispensabile ancora una volta dovrà pertanto essere l'apporto e la piena collaborazione dei soggetti Assicurati onde evitare che le Compagnie Assicurative scontino decadenze processuali diretta ed unica conseguenza della mancata cooperazione e del mancato rispetto dei reciproci obblighi contrattuali.

 

[1] Art. 1916 c.c.: "L'assicuratore che ha pagato l'indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell'ammontare di essa, nei diritti dell'assicurato verso i terzi responsabili. Salvo il caso di dolo, la surrogazione non ha luogo se il danno è causato dai figli, dagli affiliati , dagli ascendenti, da altri parenti o da affini dell'assicurato stabilmente con lui conviventi o da domestici. L'assicurato è responsabile verso l'assicuratore del pregiudizio arrecato al diritto di surrogazione. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche alle assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro e contro le disgrazie accidentali."

[2] Funajoli, Giuco e scommessa, N.sso Dig. It., VII, 1961; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006. La scommessa può essere definita come quell'accordo tra due (ma sovente tra più) parti che ha per oggetto la promessa di versare una somma di denaro, di effettuare una certa prestazione ovvero la diretta effettuazione di una puntata la cui attribuzione dipende dall'esito di un gioco o dal verificarsi di qualsiasi atto o fatto che possa qualificarsi come (anche soltanto soggettivamente) incerto.

[3] Donati, Trattato del diritto delle assicurazioni private, II, 475; Invero più di recente lo stesso autore ha mutato avviso aderendo alla tesi opposta: DONATI- VOLPE PUTZOLU, Manuale di diritto della Assicurazioni, 162.Invero supportata da praticamente unanime giurisprudenza: Corte di Cassazione 22.02.1988 n. 1848, in Giur. It., 1989,I,1, 526, con nota di RUSSO, Sulla surrogazione dell'assicuratore; Corte di Cassazione 18.02.1980 n. 1179; Corte Cass.05.05.1978 n. 2137; Corte di Cassazione 07.06.1977 n. 2341, in Resp. Civ. prev., 1977, 789; Corte Cass. 28.05.1977 n.2195 in Arch. Civ., 1977,891; Corte Cass. 04.04.1962 n.688, in Assicurazioni, 1963, II, 2,12.

[4] Corte di Cassazione 19 luglio 2004 n.13342.

[5] Tribunale di Velletri, sez. II, 17 ottobre 2012, n.16126.

Pubblicazioni

Solamente qualche giorno fa – ordinanza n. 26805 del 12.09.2022 - la Corte di Cassazione è intervenuta per fare ancora una volta chiarezza sulle differenze semantiche e ontologiche esistenti tra il danno biologico, il danno morale e la personalizzazione. Termini polisemici e di frequente mal interpretati.

Nel richiedere la liquidazione del danno non patrimoniale spesso le parti incorrono in confusione nel nominare in modo diverso concetti uguali o nel richiedere più volte uno stesso nocumento indicandolo sotto diverse nomenclature.

Il corretto inquadramento di queste componenti che appartengono ad un unico genus – cioè quello del danno non patrimoniale - è indispensabile al fine di applicare in modo appropriato i criteri per la loro liquidazione, anche in virtù delle modifiche di recente apportate dall’Osservatorio di Milano alle tabelle meneghine.

Una prima precisazione va fatta con riferimento al danno biologico che i più fanno coincidere con il danno alla salute.

In realtà, come ben chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 7513 del 2018, il danno alla salute non va considerato, e in questo senso è d’accordo anche la medicina legale italiana, come nocumento fisico in re ipsa ma piuttosto quale compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento di tutte le sue attività quotidiane.

Sotto tale profilo il Dott. Rossetti, relatore della citata pronuncia ricordava che “In questo senso si espresse già quasi vent'anni fa (ma inascoltata) la Società Italiana di Medicina Legale, la quale in esito al Congresso nazionale tenuto nel 2001 definì il danno biologico espresso nella percentuale di invalidità permanente, come "la menomazione (...) all'integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali (...), espressa in termini di percentuale della menomazione dell'integrità psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti".”

Pertanto per danno biologico è da intendersi il danno alla salute nei suoi riflessi dinamico relazionali. Prosegue la Cassazione “Non, dunque, che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno “dinamico relazionale”. Se non avesse conseguenzedinamico relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.”

Dunque l’incidenza di una menomazione permanente sulle quotidiane attività dinamico-relazionali della vittima non è un danno diverso dal danno biologico ma è proprio ciò che lo compone.

Nell’ambito della lesione della salute e dei suoi profili dinamico-relazionali vi possono essere conseguenze comuni a tutte i soggetti che hanno quel grado di invalidità e conseguenze peculiari che abbiano cioè reso il pregiudizio subito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi similari.

Mentre le prime vengono liquidate dietro mera dimostrazione del grado di invalidità, le seconde richiedono la prova concreta ed effettiva del maggior pregiudizio subito onde ottenerne il risarcimento mediante personalizzazione del danno. Ed infatti “In applicazione di tali princìpi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).”

Il danno morale, infine, è costituito invece dai[1] “..pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).”

Il danno morale è quindi una categoria autonoma[2] rispetto al danno biologico e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato e che costituiscono come detto l’essenza del danno biologico.

L’autonomia di questa categoria – e il suo non automatico riconoscimento – si è riverberata nella revisione delle Tabelle di Milano che nella loro versione del 2021 specificano e distinguono nella liquidazione del danno non patrimoniale la componente biologico/relazionale e quella morale.

Nella pronuncia di settimana scorsa la Corte di Cassazione ha quindi chiarito l’operazione che gli operatori del diritto si trovano a dover fare nel momento della liquidazione delle poste risarcitorie e cioè dividere il danno non patrimoniale nelle sue componenti dinamico/relazionale (id est il danno biologico, se del caso personalizzato) e quella morale. Ed infatti “il giudice di merito dovrà:

1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di un danno da sofferenza morale, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che preved(eva)ono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervenivano, per il danno biologico - prima dell'ultima, necessaria modificazione all'indicazione di un valore monetario automaticamente e complessivamente unitario (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);

3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico (espressamente ed esclusivamente definito dal legislatore, fin dall'anno 2000, come danno dinamico/relazionale), depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, e liquidando, conseguentemente il solo aspetto dinamico-relazionale del danno;

4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno secondo gli stringenti criteri indicati dalla sentenza 7513/2018, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale, automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.”

4.15   Di conseguenza la personalizzazione del danno:

- andrà riconosciuta solo dietro specifica e concreta dimostrazione “di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età.”[3]

- se dimostrata, andrà liquidata mediante aumento “fino al 30% del valore del solo danno biologico[4] e non prendendo a riferimento il danno non patrimoniale nella sua unitarietà. 

 

[1] Cass. Civ. sent. n. 7513 del 2018 

[2] Cass. Civ. ordinanza n. 15733 del 17.05.2022

[3] Civile Ord. Sez. 3 Num. 7513 Anno 2018

[4] Cass. civ. Sez. III, Ord., 12.09.2022, n. 26805


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