APPROFONDIMENTI

L’ACCIDENTALITA’ NELLE COPERTURE ASSICURATIVE: LA GARANZIA LIMITATA AI FATTI C.D. “ACCIDENTALI” NON PUO’ ESSERE ESCLUSA PER I COMPORTAMENTI COLPOSI DELL’ASSICURATO, MA SOLO PER QUELLI DOLOSI.

Cassazione n. 18320 del 27.06.2023

11/07/2023

di Avv. Stefano Zerbo

Con la pronuncia n. 18320 del 27.06.2023 la Corte di Cassazione è tornata a ribadire un principio, già noto alla Giurisprudenza, correlato al concetto della c.d. Accidentalità: i Giudici della Suprema Corte hanno stabilito che  “la clausola di un contratto di assicurazione che preveda la copertura del rischio per danni conseguenti a fatti accidentali è correttamente interpretata nel senso che essa si riferisce semplicemente alla condotta colposa in contrapposizione ai fatti dolosi.”.

Invero in materia di assicurazione della responsabilità civile il richiamo al fatto accidentale non si traduce nella mera imprevedibilità dell'evento dannoso, come genere, quanto nell'incertezza nella sua specificità. Pur essendo astrattamente possibile prevedere il verificarsi di un'evenienza di un certo tipo, deve rimanere incerto il complesso di fattori che concorrono a produrla secondo le modalità materiali e temporali e con le conseguenze esattamente verificatesi a danno del soggetto che ne risulti colpito, e ciò per circostanze che sfuggono al dominio dell'assicurato e che non sono necessariamente e costantemente inerenti all'attività considerata nel contratto assicurativo ed alla natura dei beni in essa impiegati[1].

La dizione circa l’accidentalità del fatto dannoso viene solitamente inserita per indurre l’assicurato a comportamenti prudenti[2] ma con formulazioni tanto generiche da essere spesso considerate inutili dalla giurisprudenza[3] . Invero, per chi scrive, il tema riveste fondamentale importanza laddove si intenda circoscrivere l’oggetto della copertura RC che non potrà mai includere il c.d. “rischio d’impresa”[4] posto che «...l'accidentalità va ... esclusa quando l'evento dannoso si verifichi naturalmente in dipendenza della sola attività dell'agente e delle stesse modalità con cui essa è stata perseguita» [5].

Nella sentenza in esame la Cassazione ha stigmatizzato l’errore nel quale era incorsa la Corte di Appello che aveva interpretato la clausola contrattuale escludente la copertura per i fatti “accidentali” alla luce del solo criterio letterale, cioè secondo il senso letterale dell’aggettivo “accidentali”, senza tener conto che la suddetta clausola fa parte di un assetto contrattuale che è destinato a produrre effetti tra le parti e deve quindi essere fondato su una causa concreta.

Secondo la Suprema Corte “Il giudice del merito ha dunque trascurato di praticare l’interpretazione mediana fra i c.d. criteri soggettivi e quelli oggettivi, cioè sia quella di cui all’art. 1366 c.c., basata sul criterio della buona fede, sia quella dell’art. 1367 c.c., sia ancora quella dell’art. 1370 c.c. La considerazione di questi tre criteri ermeneutici, unitamente alla considerazione per cui la causa del tipo contrattuale è quella di tenere indenne l’assicurato dalla responsabilità civile verso terzi, avrebbero dovuto indurre necessariamente i giudici di merito ad intendere l’aggettivo “accidentali” in modo tale da permettere la realizzazione della causa concreta e del sostanziale assetto di interessi perseguito dalle parti del contratto assicurativo in esame.”

Ne deriva la necessità di necessario interpretare l’aggettivo “accidentale” affinché con esso sia possibile dare concretezza alla causa del contratto in adesione alla consolidata giurisprudenza secondo la quale “L'assicurazione della responsabilità civile, mentre non può concernere fatti meramente accidentali, dovuti cioè a caso fortuito o forza maggiore, dai quali non sorge responsabilità, per la sua stessa denominazione e natura importa necessariamente l'estensione anche a fatti colposi, con la sola eccezione di quelli dolosi, restando escluso, in mancanza di espresse clausole limitative del rischio, che la garanzia assicurativa non copra alcune forme di colpa.”.

Pertanto, conclude la Corte, “la clausola di un contratto di assicurazione che preveda la copertura del rischio per danni conseguenti a fatti accidentali è correttamente interpretata nel senso che essa si riferisce semplicemente alla condotta colposa in contrapposizione ai fatti dolosi”.

 

[1] Per tutte Cass. 30.4.1981 n°2652 ove l'assicurazione, circoscritta ai fatti accidentali, concerneva i danni cagionati dall'attività di produzione e trasporto di calcestruzzo e la pretesa risarcitoria era stata avanzata per il danneggiamento di colture di fiori, conseguente al progressivo deposito sulle medesime di polvere provocata dallo svolgimento della predetta attività: il supremo collegio ha cassato con rinvio la pronunzia di merito, che aveva escluso l'accidentalità del fatto dannoso, limitandosi a considerare l'astratta possibilità del suo verificarsi, senza accertare la normalità e prevedibilità di tutti gli elementi, che avevano concorso in concerto a determinarlo. «L'accidentalità» può essere «esclusa solo dimostrando la normalità e la prevedibilità di tutti ... i fattori» determinanti «nella loro evenienza, nella loro combinazione e nella loro finale incidenza»

[2] Fedeli, Il requisito dell'accidentalità nella assicurazione r.c. generale delle imprese, in Dir. ed economia assicuraz., 1997, 835

[3] Per tutte Cass. 7 settembre 1977, n. 3907. L’intento iniziale perseguito dagli assicuratori di escludere la risarcibilità di tutti i comportamenti considerati espressione di un atteggiamento, anche inconsapevolmente, fraudolento o di colpevole e prolungata disattenzione dell’assicurato è invero superfluo, posto che il principio indennitario proprio della copertura danni (e non vita) vieta sempre la indennizabilità dei danni volontariamente causati, posto che la carenza di accidentalità si avvicina alla carenza di aleatorietà: non è assicurabile un fatto che sia la conseguenza naturale del corso degli eventi, riscontrabile nell’attività dell’agente, al punto da far fondatamente ritenere che l’evento sia inevitabile e pertanto inassicurabile

[4] In termini assicurativi si considera “rischio d'impresa”, il c.d. rischio speculativo, normalmente inassicurabile sul mercato italiano, giacché può produrre sia perdite che guadagni (es. il danno al bene oggetto di lavorazione). Al rischio imprenditoriale/speculativo si contrappone il rischio c.d. puro (che può produrre solo perdite), normalmente oggetto delle coperture assicurative (sulla differenza tra i due tipi di rischio, v. Misani, Introduzione al risk management, Milano, 1994, 5).

[5] Cass. 4 febbraio 1992, n. 1214. Caso che conferma la decisione dei giudici di merito che avevano escluso l'accidentalità del danno arrecato alle autovetture parcheggiate nelle aree adiacenti un serbatoio, durante le operazioni di verniciatura dello stesso. La giurisprudenza ha condannato severamente tale interpretazione restrittiva, anche se non convince la tesi opposta di un’assicurazione di responsabilità civile che dovrebbe coprire indifferentemente tutti i danni conseguenti a comportamenti colposi, escludendo solo i dolosi.

Pubblicazioni

Solamente qualche giorno fa – ordinanza n. 26805 del 12.09.2022 - la Corte di Cassazione è intervenuta per fare ancora una volta chiarezza sulle differenze semantiche e ontologiche esistenti tra il danno biologico, il danno morale e la personalizzazione. Termini polisemici e di frequente mal interpretati.

Nel richiedere la liquidazione del danno non patrimoniale spesso le parti incorrono in confusione nel nominare in modo diverso concetti uguali o nel richiedere più volte uno stesso nocumento indicandolo sotto diverse nomenclature.

Il corretto inquadramento di queste componenti che appartengono ad un unico genus – cioè quello del danno non patrimoniale - è indispensabile al fine di applicare in modo appropriato i criteri per la loro liquidazione, anche in virtù delle modifiche di recente apportate dall’Osservatorio di Milano alle tabelle meneghine.

Una prima precisazione va fatta con riferimento al danno biologico che i più fanno coincidere con il danno alla salute.

In realtà, come ben chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 7513 del 2018, il danno alla salute non va considerato, e in questo senso è d’accordo anche la medicina legale italiana, come nocumento fisico in re ipsa ma piuttosto quale compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento di tutte le sue attività quotidiane.

Sotto tale profilo il Dott. Rossetti, relatore della citata pronuncia ricordava che “In questo senso si espresse già quasi vent'anni fa (ma inascoltata) la Società Italiana di Medicina Legale, la quale in esito al Congresso nazionale tenuto nel 2001 definì il danno biologico espresso nella percentuale di invalidità permanente, come "la menomazione (...) all'integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali (...), espressa in termini di percentuale della menomazione dell'integrità psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti".”

Pertanto per danno biologico è da intendersi il danno alla salute nei suoi riflessi dinamico relazionali. Prosegue la Cassazione “Non, dunque, che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno “dinamico relazionale”. Se non avesse conseguenzedinamico relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.”

Dunque l’incidenza di una menomazione permanente sulle quotidiane attività dinamico-relazionali della vittima non è un danno diverso dal danno biologico ma è proprio ciò che lo compone.

Nell’ambito della lesione della salute e dei suoi profili dinamico-relazionali vi possono essere conseguenze comuni a tutte i soggetti che hanno quel grado di invalidità e conseguenze peculiari che abbiano cioè reso il pregiudizio subito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi similari.

Mentre le prime vengono liquidate dietro mera dimostrazione del grado di invalidità, le seconde richiedono la prova concreta ed effettiva del maggior pregiudizio subito onde ottenerne il risarcimento mediante personalizzazione del danno. Ed infatti “In applicazione di tali princìpi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).”

Il danno morale, infine, è costituito invece dai[1] “..pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).”

Il danno morale è quindi una categoria autonoma[2] rispetto al danno biologico e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato e che costituiscono come detto l’essenza del danno biologico.

L’autonomia di questa categoria – e il suo non automatico riconoscimento – si è riverberata nella revisione delle Tabelle di Milano che nella loro versione del 2021 specificano e distinguono nella liquidazione del danno non patrimoniale la componente biologico/relazionale e quella morale.

Nella pronuncia di settimana scorsa la Corte di Cassazione ha quindi chiarito l’operazione che gli operatori del diritto si trovano a dover fare nel momento della liquidazione delle poste risarcitorie e cioè dividere il danno non patrimoniale nelle sue componenti dinamico/relazionale (id est il danno biologico, se del caso personalizzato) e quella morale. Ed infatti “il giudice di merito dovrà:

1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di un danno da sofferenza morale, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che preved(eva)ono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervenivano, per il danno biologico - prima dell'ultima, necessaria modificazione all'indicazione di un valore monetario automaticamente e complessivamente unitario (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);

3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico (espressamente ed esclusivamente definito dal legislatore, fin dall'anno 2000, come danno dinamico/relazionale), depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, e liquidando, conseguentemente il solo aspetto dinamico-relazionale del danno;

4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno secondo gli stringenti criteri indicati dalla sentenza 7513/2018, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale, automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.”

4.15   Di conseguenza la personalizzazione del danno:

- andrà riconosciuta solo dietro specifica e concreta dimostrazione “di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età.”[3]

- se dimostrata, andrà liquidata mediante aumento “fino al 30% del valore del solo danno biologico[4] e non prendendo a riferimento il danno non patrimoniale nella sua unitarietà. 

 

[1] Cass. Civ. sent. n. 7513 del 2018 

[2] Cass. Civ. ordinanza n. 15733 del 17.05.2022

[3] Civile Ord. Sez. 3 Num. 7513 Anno 2018

[4] Cass. civ. Sez. III, Ord., 12.09.2022, n. 26805


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