APPROFONDIMENTI

L’assicurazione multipla in diritto italiano. La disciplina dell’art. 1910 c.c.

17/06/2014

di Avv. Giandomenico Boglione

Ai sensi dell'art.1910 del Codice Civile (Assicurazione presso diversi assicuratori):

[I]. Se per il medesimo rischio sono contratte separatamente più assicurazioni presso diversi assicuratori, l'assicurato deve dare avviso di tutte le assicurazioni a ciascun assicuratore [1911].
[II]. Se l'assicurato omette dolosamente di dare l'avviso, gli assicuratori non sono tenuti a pagare l'indennità.
[III]. Nel caso di sinistro, l'assicurato deve darne avviso a tutti gli assicuratori a norma dell'articolo 1913, indicando a ciascuno il nome degli altri. L'assicurato può chiedere a ciascun assicuratore l'indennità dovuta secondo il rispettivo contratto, purché le somme complessivamente riscosse non superino l'ammontare del danno.
[IV]. L'assicuratore che ha pagato ha diritto di regresso contro gli altri per la ripartizione proporzionale in ragione delle indennità dovute secondo i rispettivi contratti. Se un assicuratore è insolvente, la sua quota viene ripartita fra gli altri assicuratori.

L'art. 1910 c.c. è principalmente espressione di un principio generale teso ad evitare che il danneggiato percepisca un risarcimento superiore al danno effettivamente subito [1].

L'assicuratore che ha pagato, ha diritto di regresso contro gli altri su base proporzionale in ragione delle indennità dovute secondo i rispettivi contratti.
Perché l'art.1910 c.c. sia applicabile è necessario che vi sia la pluralità di assicuratori in relazione a diverse coperture omologhe caratterizzate dall'identità di rischio e di oggetto (lo stesso bene), in presenza della contemporaneità di copertura (se c'è successione di coperture, ovviamente, sarà il regime temporale di ognuna a deciderne l'operatività) e del medesimo interesse.
Di converso esso non si applica in caso di:
- Compresenza di rischi diversi che tuttavia comportino l'erogazione di somme da differenti assicuratori in favore di un medesimo soggetto. Tipica in questo caso è l'ipotesi del concorso fra assicurazione property o infortuni e di responsabilità civile in virtù del quale il danneggiato è assicurato nei riguardi della copertura property e danneggiato per l'assicurazione R.C.G. sicché può accadere che sia potenzialmente destinatario di più prestazioni assicurative, una da parte del suo assicuratore ed una da parte dell'assicuratore di responsabilità civile ex art.1917 c.c. [2].
- Compresenza di coperture "complementari" o "sussidiarie" vale a dire garanzie di responsabilità a secondo rischio, in quanto la circostanza che l'una inizi quando cessa l'operatività dell'altra è di per sé esplicativa della diversità dei rischi medesimi e dunque dell'assenza del presupposto fondamentale perché ricorra l'ipotesi disciplinata dall'art.1910 c.c.
- Non rientrano nelle previsioni della norma neppure le coperture di "secondo rischio", che si caratterizzano per avere una franchigia assoluta (vale a dire una limitazione della copertura, operante solo per somme eccedenti un certo importo, al di sotto del quale esse restano comunque a carico dell'assicurato) pari al massimale di un'altra polizza (del medesimo o di altro assicuratore), stipulata per il medesimo rischio.
Tali coperture, infatti, non operano simultaneamente, pur riferendosi al medesimo rischio, bensì una è efficace per la parte di danno che supera l'ammontare coperto dalla/e altre.
La giurisprudenza di legittimità, dopo alcune incertezze, ha chiarito che è indifferente il fatto che talune coperture siano state stipulate direttamente dall'assicurato ed altre da altro contraente, ma per conto del medesimo assicurato: ciò che è determinante è che il beneficiario dell'eventuale indennizzo sia la medesima persona per lo stesso rischio a tutela del medesimo interesse [3].

 

[1] Cass. 14 giugno 2007 n. 13953; Cass. 6 luglio 2006 n. 15372; Cass. 28 giugno 2006, n. 14962; Cass. 23 dicembre 1993, n. 12763.

[2] In tali casi, in ragione dell'assoluta diversità del rischio, non trova applicazione l'art.1910 c.c. bensì l'art.1916 c.c. che consente all'assicuratore infortuni che abbia pagato di surrogarsi nei diritti dell'assicurato nei confronti del responsabile civile (assicurato per la responsabilità civile).

[3] Corte di Cassazione 23 dicembre 1993 n.12763, in Giust.Civ. 1994, I, 644, in Giurisp. it.1994, I, 1, 1312 con nota di Ricolfi, Questioni vecchie e nuove in materia di assicurazioni plurime e di coassicurazione; Corte di Cassazione 19 agosto 1995 n.8947, in Giust.. Civ. 1996, I, 115.

Pubblicazioni

Solamente qualche giorno fa – ordinanza n. 26805 del 12.09.2022 - la Corte di Cassazione è intervenuta per fare ancora una volta chiarezza sulle differenze semantiche e ontologiche esistenti tra il danno biologico, il danno morale e la personalizzazione. Termini polisemici e di frequente mal interpretati.

Nel richiedere la liquidazione del danno non patrimoniale spesso le parti incorrono in confusione nel nominare in modo diverso concetti uguali o nel richiedere più volte uno stesso nocumento indicandolo sotto diverse nomenclature.

Il corretto inquadramento di queste componenti che appartengono ad un unico genus – cioè quello del danno non patrimoniale - è indispensabile al fine di applicare in modo appropriato i criteri per la loro liquidazione, anche in virtù delle modifiche di recente apportate dall’Osservatorio di Milano alle tabelle meneghine.

Una prima precisazione va fatta con riferimento al danno biologico che i più fanno coincidere con il danno alla salute.

In realtà, come ben chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 7513 del 2018, il danno alla salute non va considerato, e in questo senso è d’accordo anche la medicina legale italiana, come nocumento fisico in re ipsa ma piuttosto quale compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento di tutte le sue attività quotidiane.

Sotto tale profilo il Dott. Rossetti, relatore della citata pronuncia ricordava che “In questo senso si espresse già quasi vent'anni fa (ma inascoltata) la Società Italiana di Medicina Legale, la quale in esito al Congresso nazionale tenuto nel 2001 definì il danno biologico espresso nella percentuale di invalidità permanente, come "la menomazione (...) all'integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali (...), espressa in termini di percentuale della menomazione dell'integrità psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti".”

Pertanto per danno biologico è da intendersi il danno alla salute nei suoi riflessi dinamico relazionali. Prosegue la Cassazione “Non, dunque, che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno “dinamico relazionale”. Se non avesse conseguenzedinamico relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.”

Dunque l’incidenza di una menomazione permanente sulle quotidiane attività dinamico-relazionali della vittima non è un danno diverso dal danno biologico ma è proprio ciò che lo compone.

Nell’ambito della lesione della salute e dei suoi profili dinamico-relazionali vi possono essere conseguenze comuni a tutte i soggetti che hanno quel grado di invalidità e conseguenze peculiari che abbiano cioè reso il pregiudizio subito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi similari.

Mentre le prime vengono liquidate dietro mera dimostrazione del grado di invalidità, le seconde richiedono la prova concreta ed effettiva del maggior pregiudizio subito onde ottenerne il risarcimento mediante personalizzazione del danno. Ed infatti “In applicazione di tali princìpi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).”

Il danno morale, infine, è costituito invece dai[1] “..pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).”

Il danno morale è quindi una categoria autonoma[2] rispetto al danno biologico e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato e che costituiscono come detto l’essenza del danno biologico.

L’autonomia di questa categoria – e il suo non automatico riconoscimento – si è riverberata nella revisione delle Tabelle di Milano che nella loro versione del 2021 specificano e distinguono nella liquidazione del danno non patrimoniale la componente biologico/relazionale e quella morale.

Nella pronuncia di settimana scorsa la Corte di Cassazione ha quindi chiarito l’operazione che gli operatori del diritto si trovano a dover fare nel momento della liquidazione delle poste risarcitorie e cioè dividere il danno non patrimoniale nelle sue componenti dinamico/relazionale (id est il danno biologico, se del caso personalizzato) e quella morale. Ed infatti “il giudice di merito dovrà:

1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di un danno da sofferenza morale, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che preved(eva)ono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervenivano, per il danno biologico - prima dell'ultima, necessaria modificazione all'indicazione di un valore monetario automaticamente e complessivamente unitario (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);

3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico (espressamente ed esclusivamente definito dal legislatore, fin dall'anno 2000, come danno dinamico/relazionale), depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, e liquidando, conseguentemente il solo aspetto dinamico-relazionale del danno;

4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno secondo gli stringenti criteri indicati dalla sentenza 7513/2018, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale, automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.”

4.15   Di conseguenza la personalizzazione del danno:

- andrà riconosciuta solo dietro specifica e concreta dimostrazione “di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età.”[3]

- se dimostrata, andrà liquidata mediante aumento “fino al 30% del valore del solo danno biologico[4] e non prendendo a riferimento il danno non patrimoniale nella sua unitarietà. 

 

[1] Cass. Civ. sent. n. 7513 del 2018 

[2] Cass. Civ. ordinanza n. 15733 del 17.05.2022

[3] Civile Ord. Sez. 3 Num. 7513 Anno 2018

[4] Cass. civ. Sez. III, Ord., 12.09.2022, n. 26805


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