APPROFONDIMENTI

L’interpretazione dei clausolari inglesi richiamati nelle polizze italiane

23/09/2015

di Avv. Giandomenico Boglione

Tanto la dottrina [1] quanto la giurisprudenza [2] italiane, avvertendo la necessità, anche di ordine pratico, di un'organica disciplina del settore assicurativo dei trasporti, per sua natura votato all'internazionalità e spontaneamente tendente all'uniformità, hanno anticipato i traguardi cui è poi giunta la Convenzione di Roma (1980, oggi superata dal Regolamento n. 593/2008 detto "Roma I") "muovendo dal principio che, di fronte ad un formulario di contratto di uso diffuso, l'interpretazione deve essere generale (tipica o categoriale), deve cioè adeguarsi al senso riconoscibile e al modo di vedere proprio della cerchia di persone nell'ambito delle quali il formulario nasce ed è destinato ad operare. I clausolari di assicurazione marittima sono creati per operare nel mercato internazionale. La necessità di una loro interpretazione uniforme e costante discende inoltre dall'esigenza, tipica del mercato delle assicurazioni marittime, di un'ampia riassicurazione su un vasto mercato. Tale interpretazione uniforme non può aversi che facendo capo al mercato nel quale i formulari sono nati. E, d'altro canto, la volontà delle parti contraenti, quando adottano il clausolario straniero, è quella di avere non solo questo nel suo tenore letterale, ma nel significato che alle disposizioni del clausolario si attribuisce nel Paese d'origine" [3].
L'enorme diffusione dei formulari inglesi nella prassi delle assicurazioni e dei trasporti marittimi internazionali, adottati anche nella fattispecie, ha determinato in giurisprudenza l'orientamento, via via consolidatosi, in base al quale in Italia l'interpretazione dei clausolari inglesi deve uniformarsi a quella loro attribuita nel paese d'origine, adeguandosi all'interpretazione offerta dalla prassi e dalla giurisprudenza londinesi.
E' recente la pronuncia della Suprema Corte [4] in tema di warranty ove i precedenti giurisprudenziali inglesi, ispirati al Marine Insurance Act del 1906 (esso pure di origine giurisprudenziale) sono stati puntualmente adottati. Premessa l'applicabilità del diritto inglese, il thema decidendi non verteva tanto sull'identificazione dell'astratta natura delle clausole inglesi quanto piuttosto nell'appurarne la corretta interpretazione e portata pratica.
Spesso la legge inglese viene richiamata nei formulari contrattuali assicurativi per espressa volontà delle parti, in aderenza al sistema di diritto uniforme proprio della Convenzione di Roma, regola - "in ogni caso" - le obbligazioni contrattuali. In tal caso la legge inglese è applicabile alle sole parti del contratto ove è espressamente richiamata. La Convenzione di Roma (all'art.3.1, ultima parte) consente infatti ai contraenti di designare la legge applicabile per una parte soltanto del contratto, attraverso il c.d. dèpecage. Promuovendo la volontà delle parti che, utilizzando formulari stranieri, abbiano prescelto una legge diversa per regolare determinati profili del rapporto contrattuale, la Convenzione ha definitivamente superato le problematiche proprie del precedente sistema di d.i.p retto dall'art.25 disp. Prel. Cod. civ. che, secondo la giurisprudenza e la dottrina risalenti, non consentiva il frazionamento del contratto ai fini della scelta della legge applicabile. Come rilevato dalle Corti di merito in tema di assicurazione trasporti "si tratta di una prassi diffusa in materia di assicurazione merci viaggianti su trasporti marittimi internazionali, ove le parti utilizzano sia la PIAMT (...) sia le Institute Cargo Clauses (ICC), le tradizionali calusole inglesi più usate a livello internazionale (anche dette clausole sono standardizzate)"
L'opportunità di ricorrere al dèpecage per agevolare il compito dell'interprete chiamato ad applicare pattuizioni che traggono origine (e disciplina) da un contesto giuridico e culturale proprio di un ordinamento straniero si sposa con la facoltà offerta alle parti dal nostro ordinamento dal principio dell'autonomia contrattuale secondo cui le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto, nei limiti imposti dalla legge (art. 1322 c.c.).

 

[1] Ferrarini, cit. Le assicurazioni marittime, ultima ed. 1991.

[2] Lodo arbitrale 11.3.1982 in Dir. Mar. 1982, 276.

[3] Ferrarini, Le assicurazioni marittime, 1991, p.29.

[4] Sent. n. 25735 del 25.9.2014.