APPROFONDIMENTI

L’obbligo della valutazione dei rischi e della redazione del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR)

e l’obbligo di valutazione dei c.d. rischi da interferenze e di redazione del Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenze (c.d.DUVRI)

18/09/2014

di Avv. Stefano Zerbo

La nuova disciplina introdotta dal Testo Unico (modificato, come detto, dal D. lgs 106/2009) prevede per il datore di lavoro l'obbligo [1], tra gli altri, di approntare la c.d. "Valutazione dei rischi", al termine della quale lo stesso è tenuto alla redazione di una relazione contenente l'indicazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute del lavoratore sul luogo di lavoro.
Riprendendo lo spirito dell'art. 4 del D. lgs. 626/1994, l'art. 28 del D. lgs. 81/2008 impone al datore di lavoro di considerare, anche nella scelta della attrezzature di lavoro e delle sostanze e dei preparati chimici impiegati nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro"tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all'età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro".
All'esito di tale valutazione il datore di lavoro è così tenuto alla redazione di un documento di valutazione dei rischi (DVR) nel quale deve essere prevista l'eventuale specificazione delle mansioni che espongono i lavoratori a rischi specifici [2].
Il decreto 81/2008 pone fondamentale rilievo tanto alla fase della valutazione dei rischi quanto alla successiva redazione del documento.
L'art. 55 nell'ambito del regime sanzionatorio previsto per il datore di lavoro e per il dirigente distingue infatti la responsabilità del datore per l'omessa valutazione dei rischi dalla responsabilità dello stesso per la mancata stesura del documento di valutazione individuando a tal fine due differenti due differenti ipotesi di condanna [3].
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Accanto al più generale obbligo di valutazione dei rischi e di redazione del conseguente documento l'art. 26 del Decreto 81/2008 disciplina l'obbligo per il datore di lavoro di provvedere alla valutazione dei rischi c.d. da interferenza - conseguenti cioè ad ogni sovrapposizione di attività lavorativa tra diversi lavoratori che rispondono a datori di lavoro diversi in uno stesso ambiente - che potrebbero ricorrere sul luogo di lavoro allorché abbia affidato ad imprese/lavoratori esterni l'appalto per l'esecuzione di opere o l'espletamento di prestazioni lavorative presso la propria sede di lavoro in ragione della sostanziale estraneità dei dipendenti delle imprese appaltatrici all'ambiente [4] ove svolgeranno le loro prestazioni.
In forza dell'art. 26 del decreto, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo, il datore di lavoro è tenuto a promuovere la cooperazione ed il coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi anche al fine di eliminare rischi connessi alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera.
Il datore di lavoro principale (committente) deve pertanto provvedere ad informare le imprese esecutrici dei lavori (ad esse affidati con contratti di appalto, d'opera o di somministrazione) sui rischi da interferenze esistenti nell'ambiente nel quale queste sono destinate ad operare.
A tal fine vi è l'obbligo di elaborare un unico documento di valutazione dei rischi (il c.d. DUVRI) che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non sia possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze e che, allegato al contratto di appalto o di opera ed in funzione dell'evoluzione dei lavori, servizi e forniture, costituisce di fatto una integrazione della più generale valutazione e stesura del DVR, il Documento di Valutazione Rischi previsto dall'art. 28 del D. lgs 81/2008.
Oltre all'identificazione dei soggetti coinvolti (ditte o lavoratori autonomi) e di coloro cui sono affidati i compiti di sicurezza (referente interno, medico...), la dichiarazione deve contenere:
- scelte progettuali ed organizzative, procedure, misure preventive e protettive, in riferimento all'area, all'organizzazione ed alle lavorazioni
- le prescrizioni operative, misure preventive e protettive, dispositivi di protezione individuale in riferimento alla interferenze tra le lavorazioni;
- misure di coordinamento relative all'uso comune delle attrezzature, delle infrastrutture, dei mezze e dei servizi di protezione collettiva
- modalità organizzative della cooperazione e del coordinamento nonché della reciproca informazione, fra i datori di lavoro e fra i datori di lavoro ed i lavoratori autonomi;
- organizzazione prevista per il pronto soccorso e per la gestione delle emergenze;
- durata prevista delle lavorazioni, delle fasi e sottofasi di lavoro che costituiscono il crono programma dei lavori.
Il DUVRI costituisce pertanto la risposta all'esigenza prevista del decreto 81/2008 di "informazione, coordinamento e cooperazione" tra azienda committente ed azienda appaltatrice:
- Informazione: fornire ai lavoratori conoscenze utili "all'identificazione, riduzione e gestione" dei rischi nell'ambiente di lavoro
- Coordinamento: "collegare" razionalmente le fasi dell'attività "armonizzandole" tra loro per eliminare o ridurre le interferenze
- Cooperazione: predisporre ed applicare le misure di prevenzione e protezione necessarie per eliminare i rischi da interferenza.
Gli appalti per i quali il DUVRI non è necessario.
Fermo quanto stabilito dal terzo comma dell'art. 26 del decreto 81/2008 va in ogni caso rilevato che esistono specifiche fattispecie per le quali il committente non è obbligato alla redazione del DUVRI ed agli adempimenti ad esso inerenti. Introdotto nel decreto 81/2008 dal D. lgs 106/2009, l'art. 26 3 bis [5] stabilisce espressamente per quali appalti - in assenza di rischi interferenziali dovuti ad agenti cancerogeni, biologici ed atmosfere esplosive - la predisposizione del Documento di valutazioni dei rischi interferenziali non risulta necessaria. In deroga a quanto previsto dal terzo comma, il terzo comma bis della norma prevede che il datore non sia obbligato alla valutazione e conseguente redazione del documento sui rischi da interferenza allorché l'appalto abbia ad oggetto:
- mere forniture di materiali;
- servizi di natura intellettuale;
- lavori di durata non superiore a due giorni.
Poiché l'esigenza del DUVRI nasce dall'esistenza di contatto "rischioso" tra lavorazioni e tra lavoratori differenti è evidente quindi che la sua necessità viene meno allorché le lavorazioni siano a basso rischio o di durata limitata salvo, come detta la norma, che simili prestazioni debbano essere rese in ambienti di lavoro ove, indipendentemente dalla natura del lavoro svolto dall'appaltatore, sussistano rischi interferenziali dovuti ad agenti cancerogeni, biologici ed atmosfere esplosive. In tali casi la norma parrebbe infatti imporre comunque al committente datore di lavoro l'obbligo di redazione del DUVRI indipendentemente dalla natura o dalla durata del lavoro prestato dai lavoratori cui sia stata affidata la committenza.

 

[1] Dovendosi intendere per "Datore di lavoro" il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nell'ambito della quale il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.

[2] Il documento di valutazione deve fra l'altro contenere: una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute connessi all'attività lavorativa ove sia specificati i criteri adottati per la redazione della valutazione stessa; l'elenco delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati; il programma delle misure ritenute opportune a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza; individuazione delle procedure per l'attuazione delle misure da realizzare nonché dei ruoli dell'organizzazione aziendale che a quelle devono provvedere; l'individuazione delle mansioni che potrebbero esporre i lavoratori a rischi specifici che, per tali ragioni, richiedono per la loro esecuzione una riconosciuta capacità professionale.

[3] Il datore di lavoro che non effettua è punito con l'arresto da quattro a otto mesi o con l'ammenda da 5.000 a 15.000 euro il datore di lavoro che non effettua la valutazione dei rischi ovvero non la effettua in maniera conforme. Nel caso invece ometta di redigere il documento di valutazione dei rischi la pena muta in una sanzione pecuniaria da 3.000 a 9.000 euro.

[4] "...Il datore di lavoro committente promuove la cooperazione ed il coordinamento di cui al comma 2, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò' non e' possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze...." Art.26 n.3 D.Lg.s 81/2008. Per rischi interferenziali si intendono dunque : rischi derivanti dalla sovrapposizione di più attività svolte da operatori di appaltatori diversi; rischi immessi nel luogo di lavoro del committente dalle lavorazioni dell'appaltatore; rischi esistenti nell'area di lavoro comune, ulteriori rispetto a quelli specifici dell'attività propria dell'appaltatore, rischi derivanti da modalità di esecuzione particolari, richieste esplicitamente dal committente ecc...

[5] "..3-bis. Ferme restando le disposizioni di cui ai commi 1 e 2, l'obbligo di cui al comma 3 non si applica ai servizi di natura intellettuale, alle mere forniture di materiali o attrezzature, nonché ai lavori o servizi la cui durata non sia superiore ai due giorni, sempre che essi non comportino rischi derivanti dalla presenza di agenti cancerogeni, biologici, atmosfere esplosive o dalla presenza dei rischi particolari di cui all'allegato XI."

Pubblicazioni

Solamente qualche giorno fa – ordinanza n. 26805 del 12.09.2022 - la Corte di Cassazione è intervenuta per fare ancora una volta chiarezza sulle differenze semantiche e ontologiche esistenti tra il danno biologico, il danno morale e la personalizzazione. Termini polisemici e di frequente mal interpretati.

Nel richiedere la liquidazione del danno non patrimoniale spesso le parti incorrono in confusione nel nominare in modo diverso concetti uguali o nel richiedere più volte uno stesso nocumento indicandolo sotto diverse nomenclature.

Il corretto inquadramento di queste componenti che appartengono ad un unico genus – cioè quello del danno non patrimoniale - è indispensabile al fine di applicare in modo appropriato i criteri per la loro liquidazione, anche in virtù delle modifiche di recente apportate dall’Osservatorio di Milano alle tabelle meneghine.

Una prima precisazione va fatta con riferimento al danno biologico che i più fanno coincidere con il danno alla salute.

In realtà, come ben chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 7513 del 2018, il danno alla salute non va considerato, e in questo senso è d’accordo anche la medicina legale italiana, come nocumento fisico in re ipsa ma piuttosto quale compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento di tutte le sue attività quotidiane.

Sotto tale profilo il Dott. Rossetti, relatore della citata pronuncia ricordava che “In questo senso si espresse già quasi vent'anni fa (ma inascoltata) la Società Italiana di Medicina Legale, la quale in esito al Congresso nazionale tenuto nel 2001 definì il danno biologico espresso nella percentuale di invalidità permanente, come "la menomazione (...) all'integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali (...), espressa in termini di percentuale della menomazione dell'integrità psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti".”

Pertanto per danno biologico è da intendersi il danno alla salute nei suoi riflessi dinamico relazionali. Prosegue la Cassazione “Non, dunque, che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno “dinamico relazionale”. Se non avesse conseguenzedinamico relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.”

Dunque l’incidenza di una menomazione permanente sulle quotidiane attività dinamico-relazionali della vittima non è un danno diverso dal danno biologico ma è proprio ciò che lo compone.

Nell’ambito della lesione della salute e dei suoi profili dinamico-relazionali vi possono essere conseguenze comuni a tutte i soggetti che hanno quel grado di invalidità e conseguenze peculiari che abbiano cioè reso il pregiudizio subito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi similari.

Mentre le prime vengono liquidate dietro mera dimostrazione del grado di invalidità, le seconde richiedono la prova concreta ed effettiva del maggior pregiudizio subito onde ottenerne il risarcimento mediante personalizzazione del danno. Ed infatti “In applicazione di tali princìpi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).”

Il danno morale, infine, è costituito invece dai[1] “..pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).”

Il danno morale è quindi una categoria autonoma[2] rispetto al danno biologico e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato e che costituiscono come detto l’essenza del danno biologico.

L’autonomia di questa categoria – e il suo non automatico riconoscimento – si è riverberata nella revisione delle Tabelle di Milano che nella loro versione del 2021 specificano e distinguono nella liquidazione del danno non patrimoniale la componente biologico/relazionale e quella morale.

Nella pronuncia di settimana scorsa la Corte di Cassazione ha quindi chiarito l’operazione che gli operatori del diritto si trovano a dover fare nel momento della liquidazione delle poste risarcitorie e cioè dividere il danno non patrimoniale nelle sue componenti dinamico/relazionale (id est il danno biologico, se del caso personalizzato) e quella morale. Ed infatti “il giudice di merito dovrà:

1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di un danno da sofferenza morale, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che preved(eva)ono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervenivano, per il danno biologico - prima dell'ultima, necessaria modificazione all'indicazione di un valore monetario automaticamente e complessivamente unitario (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);

3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico (espressamente ed esclusivamente definito dal legislatore, fin dall'anno 2000, come danno dinamico/relazionale), depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, e liquidando, conseguentemente il solo aspetto dinamico-relazionale del danno;

4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno secondo gli stringenti criteri indicati dalla sentenza 7513/2018, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale, automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.”

4.15   Di conseguenza la personalizzazione del danno:

- andrà riconosciuta solo dietro specifica e concreta dimostrazione “di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età.”[3]

- se dimostrata, andrà liquidata mediante aumento “fino al 30% del valore del solo danno biologico[4] e non prendendo a riferimento il danno non patrimoniale nella sua unitarietà. 

 

[1] Cass. Civ. sent. n. 7513 del 2018 

[2] Cass. Civ. ordinanza n. 15733 del 17.05.2022

[3] Civile Ord. Sez. 3 Num. 7513 Anno 2018

[4] Cass. civ. Sez. III, Ord., 12.09.2022, n. 26805


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