APPROFONDIMENTI

Obbligo di salvataggio e ripetibilità delle spese nelle polizze RC

15/09/2020

di Avv. Giandomenico Boglione

Una recente pronuncia della Corte di Appello di Genova Sez. I. 21.7.2020, ci permette di tornare a trattare la delicata questione della ripetibilità delle spese di salvataggio nell’ambito dell’assicurazione della responsabilità civile.

L’occasione è offerta dall’affondamento di un pontone nelle acque portuali genovesi e dal conseguente ordine di rimozione del relitto da parte dell’Autorità Portuale, che preannunciava danni imminenti in ragione dell’interferenza del pontone rispetto a lavori di dragaggio da eseguirsi nell’area ad opera di terzi.

L’armatore ha convenuto in giudizio il proprio assicuratore della responsabilità civile, sostenendo – invano per due gradi di giudizio –che la rimozione del pontone aveva evitato danni a terzi, così legittimando la domanda di ripetizione indennitaria (anche) ai sensi dell’art.1914 c.c., norma che garantisce il rimborso delle spese eseguite dal contraente per evitare (o diminuire) “il danno”.

Tra le diverse tematiche giuridiche trattate, il punto nodale e più interessante appare l’identificazione dei principi discriminatori che individuano i meccanismi dell'obbligo di salvataggio a carico dell'assicurato, che secondo l’interpretazione fornita dal tenore letterale della norma risulterebbe vincolato al previo verificarsi di conseguenze dannose a carico di terzi.

Il semplice “timore”, per quanto fondato e condivisibile in ragione dell’intimazione formale ricevuta dalla massima autorità portuale, non potrebbe essere equiparato alla verificazione del “danno” espresso dall’art.1914 c.c..  a tenor del quale se da un parte vi è l’obbligo a che “l'assicurato deve fare quanto gli è possibile per evitare o diminuire il danno, dall’altra parte garantisce che “l'assicuratore risponde dei danni materiali direttamente derivati alle cose assicurate dai mezzi adoperati dall'assicurato per evitare o diminuire i danni del sinistro, salvo che egli provi che tali mezzi sono stati adoperati inconsideratamente”.

Sul tema la dottrina si è da tempo confrontata al fine di meglio definire la portata normativa dell’art.1914 c.c., ritenuta applicabile anche ai contratti di assicurazione della responsabilità civile . Secondo alcuni autori essa riguarderebbe unicamente:

(a) i danni materiali o «diretti» già verificatisi; e

(b) le spese sostenute «in contemporanea», contestualmente, ovvero successivamente, all’evento di danno.

Diversamente, la più recente giurisprudenza obbietta che il principio di diritto di cui alla fattispecie dell'art. 1914 c.c. faccia carico all'assicurato di anticipare l’obbligo di intervento in salvataggio a partire dal momento del verificarsi del sinistro, ovvero dell'inizio dell'azione che lo generi, potendo in tal modo consentire – ed anzi obbligare – la parte contraente ad attivarsi fin da allora per evitare o diminuire il danno.

Sotto il secondo profilo di critica è bene tenere a mente che il contenuto dell’obbligo di salvataggio può riguardare spese effettuate:

(a) prima del sinistro: in caso di adozione di sforzi idonei per prevenirlo;

(b) dopo il sinistro: in relazione agli sforzi idonei a limitare il danno.

Permane tuttavia il dubbio se il puntuale riferimento codicistico alla circostanza secondo cui "l'assicurato deve fare quanto gli è possibile per evitare o diminuire il danno" alluda ad un'azione (o omissione) la quale, collocandosi utilmente nella fattispecie potenzialmente causativa del danno quando già essa risulti attivata, valga ad evitarlo.

E’ allora fondamentale distinguere il caso di attività svolte dall’assicurato dirette ad evitare il sinistro alla res assicurata (nel caso in esame, l’affondamento del pontone) ovvero il danno da quest’ultima causato ai terzi (cioè l’interruzione temporanea dei lavori nell’area coinvolta). Dovendosi tenere a mente che, laddove l’assicurato omettesse comportamenti tesi alla protezione del bene assicurato, si verterebbe in tutt’altra situazione di diritto a fronte della quale il nostro ordinamento (art.1900 c.c.) sanziona la condotta dolosa o gravemente negligente con il venir meno di ogni diritto all’indennizzo assicurativo.

Al fine della corretta interpretazione delle norme in esame, si impone una preliminare attenzione circa la terminologia da utilizzare, spesso confusa anche all’interno dello stesso dettato normativo. Esempio fulgido ne è l’art.521 cod. nav. che, pur dedicato ai “rischi” della navigazione delle assicurazioni marittime, elenca invero (alcuni) sinistri, collegialmente raccolti nel termine inedito di “accidenti”.

Varrebbe allora soffermarsi circa la necessità di distinguere, soprattutto per quanto attiene alle coperture della responsabilità civile, i seguenti elementi costitutivi che, in via sequenziale ed eventuale tra di loro, determinano l’obbligo di manleva assicurativa, ovvero:
    •    condotta (attiva o omissiva) del contraente che genera un evento potenzialmente lesivo;
    •     accadimento dell’evento generatore del danno;
    •     manifestazione del pregiudizio in capo al terzo soggetto;
    •     formulazione della richiesta di risarcimento da parte del terzo all’assicurato/contraente;
    •    comunicazione della richiesta risarcitoria alla compagnia;
    •     istanza di manleva alla compagnia assicurativa.

Dalla stessa lettura dell’art.1914 c.c., che collega il dovere di salvataggio al “danno” (e non già al sinistro) sembrerebbero ripetibili le sole spese eseguite per evitare le conseguenze dannose che ragionevolmente ci si può attendere ne discendano e che si inseriscano nel processo causale già avviato dal sinistro. Ma la corretta interpretazione del momento preciso in cui l’obbligo di salvataggio diventi “attuale” è composita nei suoi termini pratici e dibattuta ancor prima a livello teorico.

Secondo la più accreditata dottrina e la scarna giurisprudenza sul punto, l’obbligo di salvataggio non riguarda tutti i comportamenti influenti sul sinistro, ma solo quelli che nascano dopo che il sinistro medesimo si sia verificato, ivi includendosi ogni iniziativa di prevenzione che, senza alcuna delimitazione temporale, possa considerarsi di “salvataggio”, sempre che sussista un intimo legame eziologico tra detto salvataggio e il sinistro.

Non ogni spesa sostenuta dal contraente in relazione all’evento di rischio coperto in polizza sarebbe ripetibile, bensì solo quella:
    •    effettuata in maniera ragionevole e conseguente alle prime avvisaglie del verificarsi del rischio assicurato; e
    •    sostenuta allo specifico scopo (comune all’assicuratore e all’assicurato) di evitare o comunque ridurre il danno ai terzi.

Circa il contenuto delle iniziative assunte dall’assicurato sussumibili nei termini di cui all’art.1914 c.c. esistono pochissime pronunce giurisprudenziali che hanno equiparato il concetto di “salvataggio” con quello di “prevenzione” che ben sembra attagliarsi al caso vagliato dalla Corte genovese, laddove il contraente risulta aver posto in essere spese per la rimozione del relitto in seguito all’intimazione ricevuta dall’autorità competente, allorché nessun soggetto terzo aveva ancora formulato alcuna domanda di risarcimento che, tuttavia, sembrava imminente.

In conclusione, non possiamo che auspicare ulteriori pronunce sul tema cui la giurisprudenza italiana non sembra aver ancora posto l’opportuna attenzione, dovendo al contempo rilevare la necessità per le parti contraenti di porre particolare attenzione al dettato contrattuali di polizza che, come insegna la Common Law, deve necessariamente delineare con precisione i contenuti dell’obbligo di mitigazione dei danni.
 

Pubblicazioni

Solamente qualche giorno fa – ordinanza n. 26805 del 12.09.2022 - la Corte di Cassazione è intervenuta per fare ancora una volta chiarezza sulle differenze semantiche e ontologiche esistenti tra il danno biologico, il danno morale e la personalizzazione. Termini polisemici e di frequente mal interpretati.

Nel richiedere la liquidazione del danno non patrimoniale spesso le parti incorrono in confusione nel nominare in modo diverso concetti uguali o nel richiedere più volte uno stesso nocumento indicandolo sotto diverse nomenclature.

Il corretto inquadramento di queste componenti che appartengono ad un unico genus – cioè quello del danno non patrimoniale - è indispensabile al fine di applicare in modo appropriato i criteri per la loro liquidazione, anche in virtù delle modifiche di recente apportate dall’Osservatorio di Milano alle tabelle meneghine.

Una prima precisazione va fatta con riferimento al danno biologico che i più fanno coincidere con il danno alla salute.

In realtà, come ben chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 7513 del 2018, il danno alla salute non va considerato, e in questo senso è d’accordo anche la medicina legale italiana, come nocumento fisico in re ipsa ma piuttosto quale compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento di tutte le sue attività quotidiane.

Sotto tale profilo il Dott. Rossetti, relatore della citata pronuncia ricordava che “In questo senso si espresse già quasi vent'anni fa (ma inascoltata) la Società Italiana di Medicina Legale, la quale in esito al Congresso nazionale tenuto nel 2001 definì il danno biologico espresso nella percentuale di invalidità permanente, come "la menomazione (...) all'integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali (...), espressa in termini di percentuale della menomazione dell'integrità psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti".”

Pertanto per danno biologico è da intendersi il danno alla salute nei suoi riflessi dinamico relazionali. Prosegue la Cassazione “Non, dunque, che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno “dinamico relazionale”. Se non avesse conseguenzedinamico relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.”

Dunque l’incidenza di una menomazione permanente sulle quotidiane attività dinamico-relazionali della vittima non è un danno diverso dal danno biologico ma è proprio ciò che lo compone.

Nell’ambito della lesione della salute e dei suoi profili dinamico-relazionali vi possono essere conseguenze comuni a tutte i soggetti che hanno quel grado di invalidità e conseguenze peculiari che abbiano cioè reso il pregiudizio subito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi similari.

Mentre le prime vengono liquidate dietro mera dimostrazione del grado di invalidità, le seconde richiedono la prova concreta ed effettiva del maggior pregiudizio subito onde ottenerne il risarcimento mediante personalizzazione del danno. Ed infatti “In applicazione di tali princìpi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).”

Il danno morale, infine, è costituito invece dai[1] “..pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).”

Il danno morale è quindi una categoria autonoma[2] rispetto al danno biologico e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato e che costituiscono come detto l’essenza del danno biologico.

L’autonomia di questa categoria – e il suo non automatico riconoscimento – si è riverberata nella revisione delle Tabelle di Milano che nella loro versione del 2021 specificano e distinguono nella liquidazione del danno non patrimoniale la componente biologico/relazionale e quella morale.

Nella pronuncia di settimana scorsa la Corte di Cassazione ha quindi chiarito l’operazione che gli operatori del diritto si trovano a dover fare nel momento della liquidazione delle poste risarcitorie e cioè dividere il danno non patrimoniale nelle sue componenti dinamico/relazionale (id est il danno biologico, se del caso personalizzato) e quella morale. Ed infatti “il giudice di merito dovrà:

1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di un danno da sofferenza morale, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che preved(eva)ono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervenivano, per il danno biologico - prima dell'ultima, necessaria modificazione all'indicazione di un valore monetario automaticamente e complessivamente unitario (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);

3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico (espressamente ed esclusivamente definito dal legislatore, fin dall'anno 2000, come danno dinamico/relazionale), depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, e liquidando, conseguentemente il solo aspetto dinamico-relazionale del danno;

4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno secondo gli stringenti criteri indicati dalla sentenza 7513/2018, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale, automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.”

4.15   Di conseguenza la personalizzazione del danno:

- andrà riconosciuta solo dietro specifica e concreta dimostrazione “di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età.”[3]

- se dimostrata, andrà liquidata mediante aumento “fino al 30% del valore del solo danno biologico[4] e non prendendo a riferimento il danno non patrimoniale nella sua unitarietà. 

 

[1] Cass. Civ. sent. n. 7513 del 2018 

[2] Cass. Civ. ordinanza n. 15733 del 17.05.2022

[3] Civile Ord. Sez. 3 Num. 7513 Anno 2018

[4] Cass. civ. Sez. III, Ord., 12.09.2022, n. 26805


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