APPROFONDIMENTI

POTENTIAL LIABILITY TEST, PUNITIVE DAMAGES E IL LIMITE DELL’ORDINE PUBBLICO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO

LA POSIZIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE (SENT. N. 16601/2017)

20/11/2017

di Avv. Giorgio Briozzo

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 16601/2017, resa a Sezioni Unite, Pres. Amoroso, Rel. D’Ascola, pubblicata in data 05/07/2017, ha dichiarato legittimo il riconoscimento operato dalla Corte di Appello di Venezia di tre sentenze statunitensi esecutive aventi ad oggetto, tra l’altro, la condanna del convenuto al pagamento di c.d. punitive damages.

Senz’altro la pronuncia in esame si imporrà negli anni a venire come sentenza di primaria rilevanza nel panorama giurisprudenziale di diritto internazionale privato.

La controversia discende dalla necessità di una società di nazionalità americana con sede in Florida di dare esecuzione coattiva a tre diverse sentenze emesse da giudici statunitensi nei confronti di una persona giuridica di nazionalità italiana con sede in Italia, aventi ad oggetto il pagamento di sorte risarcitoria, spese legali e interessi, accertata la responsabilità da defective product della produttrice società italiana.

La questione posta all’attenzione della Suprema Corte si informa alla distinzione, propria dell’ordinamento di common law, tra compensatory damages e punitive damages, cui corrisponde la distinzione tra una funzione non solo risarcitoria, ma anche deterrente e sanzionatoria, della condanna alla corresponsione di somme a carico del responsabile di un illecito aquiliano.

 

Possono innanzitutto sottolinearsi due aspetti rilevanti della pronuncia.

In primo luogo, le Sezioni Unite forniscono un’interpretazione del disposto dell’art. 363, comma 3, c.p.c. in virtù della quale deve ritenersi che la Corte possa pronunciarsi sul principio di diritto non soltanto quando dichiari inammissibile l’intero ricorso, ma anche solo singoli motivi (p. 16).

In secondo luogo, la pronuncia rileva per ciò che concerne la definizione dei limiti del sindacato della Corte d’Appello sul contenuto del provvedimento da deliberare. Il terzo motivo del ricorso ivi definito lamentava infatti l’omessa valutazione da parte del Giudice d’Appello di un fatto decisivo discusso tra le parti ex art. 360, primo comma, n. 5). In particolare, tale fatto sarebbe costituito dalla circostanza che le sentenze delibande avevano semplicemente recepito l’accordo transattivo stipulato tra il garantito e il danneggiato, condannando la società garante al pagamento. La Corte di Cassazione ribadisce invece che essa difetta del potere di sindacare l’apprezzamento dei fatti operato dal Giudice di merito, il quale, non di meno, deve procedere anche d’ufficio alla verifica della sussistenza dei requisiti per il riconoscimento nei “limiti delle risultanze processuali, secondo i relativi oneri probatori delle parti”. L’opportunità e “la correttezza della soluzione adottata alla luce dell’ordinamento straniero o della legge italiana” sfuggono pertanto alla cognizione della Suprema Corte.

 

Assolutamente centrale risulta infine la ricostruzione dei concetti di ordine pubblico internazionale processuale e sostanziale effettuata dalla Corte, la quale estrapola una definizione di essi discendente dalla coesistenza di ordinamento nazionale e sovranazionale.

L’ordine pubblico processuale è da rintracciare nell’insieme dei “principi inviolabili posti a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio”, cosicché costituisce limite di ordine pubblico che il provvedimento straniero di cui si chiede il riconoscimento sia stato pronunciato all’esito di un procedimento che garantisca il rispetto del diritto di difesa.

Nondimeno, non rientrano nel limite indicato valutazioni circa “le modalità con cui tali diritto sono regolamentati o si esplicano nelle singole fattispecie”, tant’è che il diritto di difesa stesso “può soggiacere, entro certi limiti, a restrizioni”. Pertanto, il limite dell’ordine pubblico processuale deve interpretarsi nel senso di ammettere lesioni al diritto di difesa nella sua concezione “nazionale” salvo che tali lesioni non siano “state tali da intaccare in concreto e in modo sproporzionato [...] la sostanza stessa delle facoltà difensive”. A livello processuale, quindi, “non ogni differenza rispetto all’ordinamento processuale italiano” giustifica il rigetto dell’istanza di riconoscimento per contrarietà all’ordine pubblico processuale, “ma solo la lesione del diritto di difesa rispetto all’intero processo”. La Corte di cassazione arriva a tale definizione nel solco delle indicazioni della giurisprudenza comunitaria[1] e della europeizzazione del concetto di ordine pubblico[2]. In applicazione di tale impostazione la Suprema Corte ha ritenuto legittimo il riconoscimento compiuto della sentenza che ha condannato la società italiana sulla scorta del solo potential liability test[3].

 

L’ordine pubblico sostanziale, invece, è il “complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo [...] fondati su esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo comuni ai diversi ordinamenti e desumibili, innanzi tutto, dai sistemi di tutela approntati a livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria”. Tale definizione ultima supera la definizione tradizionale di “complesso dei principi fondamentali che caratterizzano la struttura etico-sociale della comunità nazionale in un determinato periodo storico, e nei principi inderogabili immanenti nei più importanti istituti giuridici”[4], improntando l’ordine pubblico sostanziale ad una dimensione europea, internazionale e transnazionale, in quanto “il rapporto tra l’ordine pubblico dell’Unione e quello di fonte nazionale non è di sostituzione, ma di autonomia e coesistenza”, così come la Corte ritiene desumibile dal contenuto dell’art. 67 TFUE. Nel definire l’ordine pubblico sostanziale la Corte precisa che esso non ha subito quel processo di “ammorbidimento” in cui è incorso invece l’ordine pubblico processuale. “Non vi potrà essere perciò arretramento del controllo sui principi essenziali della ‘lex fori’ in materie [...] che sono presidiate da un insieme di norme di sistema che attuano il fondamento della Repubblica”. Nondimeno, “non ci si potrà attestare ogni volta dietro la ricerca di una piena corrispondenza tra istituti stranieri e istituti italiani”, ma sarà sufficiente valutare che l’ordinamento straniero ha rispetto principi e valori giuridici analoghi a quelli riconosciuti come “essenziali” dalla lex fori[5].

La Corte di cassazione decide quindi di pronunciare il principio di diritto sotteso al riconoscimento di sentenze straniere che abbiano comminato il pagamento di punitive damages.

La Suprema Corte conferma in primis che principi inderogabili di ordine pubblico sostanziale in subiecta materia sono contenuti negli art. 23 e 25 della Costituzione[6] e nell’art. 49 della Carta di Nizza[7], relativi ai principi di legalità e proporzionalità.

In virtù del principio di legalità le sanzioni e le prestazioni patrimoniali non possono che essere imposte in virtù di una fonte normativa riconoscibile, che sia dotata dei caratteri di tipicità e prevedibilità. E’ bene tenere a mente che la riserva di legge prevista dal nostro ordinamento, di carattere rispettivamente relativo e assoluto, non è estensibile nei medesimi termini alla norma straniera cui rinvia il diritto internazionale privato, in quanto la differenza di fonti normative che intercorre tra i diversi ordinamenti impedisce di escludere valore di “fonte normativa riconoscibile” ad atti stranieri diversi dalla legge o dal regolamento di origine governativa.

Il principio di proporzionalità impone invece che vi sia un rapporto congruo tra la componente della condanna avente finalità riparatoria e compensativa e la parte avente funzione “punitiva” ed anche che questa sia in rapporto congruo con la gravità della condotta così censurata.

All’esito di una ricognizione dell’evoluzione dell’interpretazione della funzione della condanna al pagamento di somme in conseguenza di illeciti aquiliani e delle numerose norme che, già a partire dal 1939, riportano previsioni dal carattere lato sensu sanzionatorio nel disporre il risarcimento di danni nelle specifiche materie, le Sezioni Unite prendono atto che “la funzione sanzionatoria del risarcimento del danno non è più incompatibile con i principi generali del nostro ordinamento”, così come quella deterrente[8]. Del resto, la Cassazione annota diverse pronunce della Consulta che hanno riconosciuto la legittimità costituzionale di norme che hanno corredato il risarcimento di aspetti sanzionatori e deflattivi.

La Corte procede quindi riconoscendo nella normativa di origine giurisprudenziale e statutaria americana il rispetto dei principi di legalità e proporzionalità di eventuali prestazioni patrimoniali con finalità sanzionatoria e deterrente, con particolare riguardo agli aspetti della tipicità e della prevedibilità di tali prestazioni e delle fattispecie cui sono ricondotte, concludendo infine per la legittimità del riconoscimento delle pronunce americane che hanno comminato tali sanzioni.

 

[1] sentenze della Corte di Giustizia 2 aprile 2009, causa C-394/2007, Gambazzi, e 11 maggio 2000, causa C‑38/98, Renault.

[2] sentenza CEDU 13 febbraio 2001, Krombach c. Francia.

[3]  In virtù di tale istituto di common law, il garante può essere condannato a tenere indenne il garantito senza essere stato parte del relativo giudizio, nella misura in cui questi sia giunto a transazione con il danneggiato a ragione della possibilità di una sua condanna. L’alternativa posta in capo al garante è quindi quella di approvare la transazione ovvero di assumere la difesa del garantito, sì da essere ammesso a provare in giudizio l’assenza degli “asseriti difetti di un proprio prodotto” e, di conseguenza, “l’assenza dei presupposti della propria responsabilità”. In difetto di scelta, il garante è condannato alla manleva. E’ agevole notare quindi come l’ordinamento statunitense disciplini in maniera differente la chiamata di garanzia e l’opponibilità della transazione stipulata inter alios rispetto alla procedura civile italiana. Nondimeno, l’applicazione dell’istituto del potential liability test è stato considerato non sufficientemente lesivo del diritto di difesa complessivamente considerato, in quanto il garante è posto nella condizione di adoperarsi per formulare le proprie difese ed eccezioni.

[4] Cass. n. 1680 del 1984.

[5] Tale approccio risulta coerente con quello adottato dalla normazione europea, di cui il testo del Considerando n. (32) del regolamento (CE) 864/2007 è emblematico. Esso recita: “Considerazioni di pubblico interesse giustificano, in circostanze eccezionali, che i giudici degli Stati membri possano applicare deroghe basate sull'ordine pubblico e sulle norme di applicazione necessaria. In particolare, l'applicazione di una disposizione della legge designata dal presente regolamento che abbia l'effetto di determinare il riconoscimento di danni non risarcitori aventi carattere esemplare o punitivo di natura eccessiva può essere considerata contraria all'ordine pubblico del foro, tenuto conto delle circostanze del caso di specie e dell'ordinamento giuridico dello Stato membro del giudice adito”.

[6] Art. 23: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.
Art. 25: “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.

[7] Art. 49: “1. Nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima.

2. Il presente articolo non osta al giudizio e alla condanna di una persona colpevole di un’azione o di un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali riconosciuti da tutte le nazioni.

3. Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato”.

[8] Sono esempi di tale introduzione gli art. 96, 3 comma, e 614-bis c.p.c., l’art. 114 c.p.a., l’art. 18 della l. 300/1970 insieme a molti altri.

Pubblicazioni

Solamente qualche giorno fa – ordinanza n. 26805 del 12.09.2022 - la Corte di Cassazione è intervenuta per fare ancora una volta chiarezza sulle differenze semantiche e ontologiche esistenti tra il danno biologico, il danno morale e la personalizzazione. Termini polisemici e di frequente mal interpretati.

Nel richiedere la liquidazione del danno non patrimoniale spesso le parti incorrono in confusione nel nominare in modo diverso concetti uguali o nel richiedere più volte uno stesso nocumento indicandolo sotto diverse nomenclature.

Il corretto inquadramento di queste componenti che appartengono ad un unico genus – cioè quello del danno non patrimoniale - è indispensabile al fine di applicare in modo appropriato i criteri per la loro liquidazione, anche in virtù delle modifiche di recente apportate dall’Osservatorio di Milano alle tabelle meneghine.

Una prima precisazione va fatta con riferimento al danno biologico che i più fanno coincidere con il danno alla salute.

In realtà, come ben chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 7513 del 2018, il danno alla salute non va considerato, e in questo senso è d’accordo anche la medicina legale italiana, come nocumento fisico in re ipsa ma piuttosto quale compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento di tutte le sue attività quotidiane.

Sotto tale profilo il Dott. Rossetti, relatore della citata pronuncia ricordava che “In questo senso si espresse già quasi vent'anni fa (ma inascoltata) la Società Italiana di Medicina Legale, la quale in esito al Congresso nazionale tenuto nel 2001 definì il danno biologico espresso nella percentuale di invalidità permanente, come "la menomazione (...) all'integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali (...), espressa in termini di percentuale della menomazione dell'integrità psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti".”

Pertanto per danno biologico è da intendersi il danno alla salute nei suoi riflessi dinamico relazionali. Prosegue la Cassazione “Non, dunque, che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno “dinamico relazionale”. Se non avesse conseguenzedinamico relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.”

Dunque l’incidenza di una menomazione permanente sulle quotidiane attività dinamico-relazionali della vittima non è un danno diverso dal danno biologico ma è proprio ciò che lo compone.

Nell’ambito della lesione della salute e dei suoi profili dinamico-relazionali vi possono essere conseguenze comuni a tutte i soggetti che hanno quel grado di invalidità e conseguenze peculiari che abbiano cioè reso il pregiudizio subito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi similari.

Mentre le prime vengono liquidate dietro mera dimostrazione del grado di invalidità, le seconde richiedono la prova concreta ed effettiva del maggior pregiudizio subito onde ottenerne il risarcimento mediante personalizzazione del danno. Ed infatti “In applicazione di tali princìpi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).”

Il danno morale, infine, è costituito invece dai[1] “..pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).”

Il danno morale è quindi una categoria autonoma[2] rispetto al danno biologico e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato e che costituiscono come detto l’essenza del danno biologico.

L’autonomia di questa categoria – e il suo non automatico riconoscimento – si è riverberata nella revisione delle Tabelle di Milano che nella loro versione del 2021 specificano e distinguono nella liquidazione del danno non patrimoniale la componente biologico/relazionale e quella morale.

Nella pronuncia di settimana scorsa la Corte di Cassazione ha quindi chiarito l’operazione che gli operatori del diritto si trovano a dover fare nel momento della liquidazione delle poste risarcitorie e cioè dividere il danno non patrimoniale nelle sue componenti dinamico/relazionale (id est il danno biologico, se del caso personalizzato) e quella morale. Ed infatti “il giudice di merito dovrà:

1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di un danno da sofferenza morale, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che preved(eva)ono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervenivano, per il danno biologico - prima dell'ultima, necessaria modificazione all'indicazione di un valore monetario automaticamente e complessivamente unitario (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);

3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico (espressamente ed esclusivamente definito dal legislatore, fin dall'anno 2000, come danno dinamico/relazionale), depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, e liquidando, conseguentemente il solo aspetto dinamico-relazionale del danno;

4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno secondo gli stringenti criteri indicati dalla sentenza 7513/2018, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale, automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.”

4.15   Di conseguenza la personalizzazione del danno:

- andrà riconosciuta solo dietro specifica e concreta dimostrazione “di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età.”[3]

- se dimostrata, andrà liquidata mediante aumento “fino al 30% del valore del solo danno biologico[4] e non prendendo a riferimento il danno non patrimoniale nella sua unitarietà. 

 

[1] Cass. Civ. sent. n. 7513 del 2018 

[2] Cass. Civ. ordinanza n. 15733 del 17.05.2022

[3] Civile Ord. Sez. 3 Num. 7513 Anno 2018

[4] Cass. civ. Sez. III, Ord., 12.09.2022, n. 26805


Leggi di più