APPROFONDIMENTI

R.C. da inquinamento: l’inosservanza dell’AIA esclude la copertura assicurativa

Irrilevante il dolo o la colpa del soggetto responsabile

17/03/2020

di Avv. Giorgio Briozzo

La sentenza del Tribunale di Alessandria, già commentata in relazione all’ascrivibilità delle esclusioni di polizza al novero delle mere difese (qui), si presta alla notazione in materia di assicurazione della r.c. da inquinamento.

La pronuncia contiene infatti una rimarchevole interpretazione della clausola di esclusione della sicurtà per i sinistri cagionati da “mancata intenzionale osservanza” delle disposizioni di legge o dell’autorizzazione amministrativa ambientale che regola l’attività dell’assicurato.

Da tempo i pratici si sono interrogati sulla portata di tale clausola, alla luce delle categorie generali dell’elemento soggettivo e del nesso di causalità nell’insorgenza del sinistro da inquinamento.

Il Tribunale ha preso le mosse dalla distinzione introdotta dall’art. 311, comma 2, del D.Lgs. 152/2006 tra gli operatori “qualificati”, i quali sono tenuti al ripristino a prescindere dall’elemento soggettivo nella causazione del danno ambientale che essi hanno cagionato, e “chiunque altro cagioni un danno ambientale con dolo o colpa”. La norma introduce una posizione di garanzia a carico degli operatori, e a tutela della collettività, che permette di imputare l’obbligo risarcitorio in capo all’operatore che abbia cagionato un danno ambientale anche senza colpa.

Al fine di coniugare il peculiare regime della responsabilità ambientale con il disposto dell’art. 1917 c.c., 1° comma, 2° periodo - che esclude l’assicurazione dei fatti dolosi – il Giudice ha impiegato il canone ermeneutico fornito dall’art. 1367 c.c., alla luce del quale la funzione di un patto contrattuale deve essere preservata investigando quale interpretazione, tra quelle possibili, sia in grado di conservare il prodotto dall’autonomia privata delle parti.

Ne segue che la predetta locuzione “mancata intenzionale osservanza” non può riferirsi alla violazione dolosa, da parte dell’assicurato o dei suoi collaboratori, delle prescrizioni di legge o del titolo abilitativo, non potendosi attribuire a quella clausola un significato per cui essa risulterebbe semplicemente ripetitiva del divieto dettato dall’art. 1917, 1° co., 2° periodo, c.c.”. Come già si è tentato di sostenere da più parti, “la menzionata locuzione, per poter avere un qualche valore, andrebbe correttamente interpretata nel senso di condotta volontaria”, risultando “irrilevante stabilire in questa sede se vi sia stata o meno piena coscienza in capo ai preposti allo stabilimento (...) di violare la legge o le prescrizioni dettate nell’AIA, o se tale comportamento sia stato il frutto di una errata interpretazione delle disposizioni di legge o del titolo abilitativo”.

Alla luce di tale interpretazione, in relazione all’operatività di tale clausola, il compito del Giudice consiste esclusivamente nel valutare se le cause di un sinistro ambientale siano o meno “causalmente riconducibili alla violazione, globalmente intesa”, prescindendo dall’ulteriore esame del quid pluris costituito dall’elemento soggettivo dell’assicurato.

La decisione del Tribunale di Alessandria si candida senza dubbio ad affermarsi quale precedente di assoluta preminenza nel panorama giurisprudenziale dell’assicurazione della r.c. da inquinamento, per aver ristretto l'ambito della pratica irrealizzabilità del dolo, inteso quale volontà degli effetti, negli atti di inquinamento.

Pubblicazioni

Solamente qualche giorno fa – ordinanza n. 26805 del 12.09.2022 - la Corte di Cassazione è intervenuta per fare ancora una volta chiarezza sulle differenze semantiche e ontologiche esistenti tra il danno biologico, il danno morale e la personalizzazione. Termini polisemici e di frequente mal interpretati.

Nel richiedere la liquidazione del danno non patrimoniale spesso le parti incorrono in confusione nel nominare in modo diverso concetti uguali o nel richiedere più volte uno stesso nocumento indicandolo sotto diverse nomenclature.

Il corretto inquadramento di queste componenti che appartengono ad un unico genus – cioè quello del danno non patrimoniale - è indispensabile al fine di applicare in modo appropriato i criteri per la loro liquidazione, anche in virtù delle modifiche di recente apportate dall’Osservatorio di Milano alle tabelle meneghine.

Una prima precisazione va fatta con riferimento al danno biologico che i più fanno coincidere con il danno alla salute.

In realtà, come ben chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 7513 del 2018, il danno alla salute non va considerato, e in questo senso è d’accordo anche la medicina legale italiana, come nocumento fisico in re ipsa ma piuttosto quale compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento di tutte le sue attività quotidiane.

Sotto tale profilo il Dott. Rossetti, relatore della citata pronuncia ricordava che “In questo senso si espresse già quasi vent'anni fa (ma inascoltata) la Società Italiana di Medicina Legale, la quale in esito al Congresso nazionale tenuto nel 2001 definì il danno biologico espresso nella percentuale di invalidità permanente, come "la menomazione (...) all'integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali (...), espressa in termini di percentuale della menomazione dell'integrità psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti".”

Pertanto per danno biologico è da intendersi il danno alla salute nei suoi riflessi dinamico relazionali. Prosegue la Cassazione “Non, dunque, che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno “dinamico relazionale”. Se non avesse conseguenzedinamico relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.”

Dunque l’incidenza di una menomazione permanente sulle quotidiane attività dinamico-relazionali della vittima non è un danno diverso dal danno biologico ma è proprio ciò che lo compone.

Nell’ambito della lesione della salute e dei suoi profili dinamico-relazionali vi possono essere conseguenze comuni a tutte i soggetti che hanno quel grado di invalidità e conseguenze peculiari che abbiano cioè reso il pregiudizio subito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi similari.

Mentre le prime vengono liquidate dietro mera dimostrazione del grado di invalidità, le seconde richiedono la prova concreta ed effettiva del maggior pregiudizio subito onde ottenerne il risarcimento mediante personalizzazione del danno. Ed infatti “In applicazione di tali princìpi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).”

Il danno morale, infine, è costituito invece dai[1] “..pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).”

Il danno morale è quindi una categoria autonoma[2] rispetto al danno biologico e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato e che costituiscono come detto l’essenza del danno biologico.

L’autonomia di questa categoria – e il suo non automatico riconoscimento – si è riverberata nella revisione delle Tabelle di Milano che nella loro versione del 2021 specificano e distinguono nella liquidazione del danno non patrimoniale la componente biologico/relazionale e quella morale.

Nella pronuncia di settimana scorsa la Corte di Cassazione ha quindi chiarito l’operazione che gli operatori del diritto si trovano a dover fare nel momento della liquidazione delle poste risarcitorie e cioè dividere il danno non patrimoniale nelle sue componenti dinamico/relazionale (id est il danno biologico, se del caso personalizzato) e quella morale. Ed infatti “il giudice di merito dovrà:

1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di un danno da sofferenza morale, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che preved(eva)ono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervenivano, per il danno biologico - prima dell'ultima, necessaria modificazione all'indicazione di un valore monetario automaticamente e complessivamente unitario (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);

3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico (espressamente ed esclusivamente definito dal legislatore, fin dall'anno 2000, come danno dinamico/relazionale), depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, e liquidando, conseguentemente il solo aspetto dinamico-relazionale del danno;

4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno secondo gli stringenti criteri indicati dalla sentenza 7513/2018, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale, automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.”

4.15   Di conseguenza la personalizzazione del danno:

- andrà riconosciuta solo dietro specifica e concreta dimostrazione “di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età.”[3]

- se dimostrata, andrà liquidata mediante aumento “fino al 30% del valore del solo danno biologico[4] e non prendendo a riferimento il danno non patrimoniale nella sua unitarietà. 

 

[1] Cass. Civ. sent. n. 7513 del 2018 

[2] Cass. Civ. ordinanza n. 15733 del 17.05.2022

[3] Civile Ord. Sez. 3 Num. 7513 Anno 2018

[4] Cass. civ. Sez. III, Ord., 12.09.2022, n. 26805


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